Il disarmo climatico come elemento necessario ad evitare la crisi ambientale ed ecologica. Da qui parte la tre giorni di incontri e approfondimenti che si svolge da ieri e anche oggi e domani, sabato 29, organizzata da la Rete Italiana Pace e Disarmo, l’Associazione 46° Parallelo e il Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani e in collaborazione con il Muse ((Museo delle scienze) e l’Agenzia provinciale per la protezione dell’Ambiente del Trentino, Agenda 2030.

«L’obiettivo delle giornate – spiega Francesco Vignarca della Rete Italiana Pace e Disarmo – è quello di scattare un’istantanea sulle minacce legate al cambiamento climatico, sempre più concrete e quotidiane, ma soprattutto, parlare di possibili soluzioni. Si tratta infatti dell’inizio di un percorso di ricerca e analisi».

La tre giorni parte, per prima cosa, dal concetto di disarmo climatico, ovvero l’analisi e la decostruzione della connessione tra cambiamento climatico e strutture e sistemi militari, compresa la militarizzazione della risposta ai cambiamenti climatici e ai loro effetti ben visibili sia sui territori che sulle popolazioni. Questione collegata è infatti quella della sicurezza climatica: gli eventi meteorologici estremi e l’instabilità climatica derivanti dall’aumento delle emissioni di gas serra causeranno forti ripercussioni anche sui sistemi economici, sociali e ambientali.

Per ‘prevenire’ i dissesti che provocherà, negli ultimi anni la spinta che proviene dall’apparato militare e di sicurezza nazionale, in particolare delle nazioni più ricche, si è molto rafforzata. La sicurezza climatica esamina per questo le minacce dirette, come l’impatto sulle operazioni militari, e quelle indirette, ovvero come i cambiamenti climatici possono esacerbare le tensioni, i conflitti e le violenze esistenti.

Uno dei rischi più evidenti provocati dal cambiamento climatico è la militarizzazione. Nel saggio “I pericoli della militarizzazione della crisi climatica” del Transnational Institute, pubblicato nell’ottobre 2021 si elencano gli effetti determinati dalle strategie che forniscono una soluzione militare alle conseguenze del cambiamento climatico.

Vari sono i rischi, per gli osservatori, che ci sono nell’inquadrare la crisi climatica come un problema di sicurezza: rafforzare un approccio militarizzato distoglierà l’attenzione dalle cause, bloccando il cambiamento, rafforzerà l’apparato militare e di sicurezza, scaricherà la responsabilità della crisi climatica sulle vittime e sugli attivisti e rafforzerà gli interessi aziendali.

L’altra partita è la migrazione. La decisione di concentrarsi sulle soluzioni militari, piuttosto che su soluzioni strutturali, ha portato a un forte aumento dei finanziamenti e alla militarizzazione dei confini, anche in previsione dell’aumento dei profughi climatici. Negli Stati Uniti la spesa per il controllo delle frontiere è passata dai 9,2miliardi di dollari ai 26miliardi tra il 2003 e il 2021. Un altro caso è Frontex, l’agenzia della guardia di frontiera dell’Ue, che ha visto aumentare il suo budget da 5,2milioni di euro nel 2005 a 460milioni nel 2020.

Collegata al disarmo climatico c’è anche la questione delle emissioni militari. Nonostante l’inquinamento causato dalle guerre di oggi e da tutte quelle che le hanno precedute, sia enorme, gli Stati tendono ad ignorarlo. Il tema di quanto inquina la guerra, ad esempio, è stato il grande assente dai dibattiti ufficiali della COP26 (in Scozia nel 2021). Tra le maggiori voci di spesa ambientale c’è lo spostamento di militari, mezzi di trasporto, armi ed equipaggiamento, il loro sostentamento, le emissioni causate dalle esplosioni, dalle armi incendiarie e dalla strategia militare di distruzione dei raccolti per forzare le popolazioni locali alla resa.

Un’altra pratica altamente inquinante è poi quella del gas flaring, l’incendio dei combustibili fossili, con il quale gli eserciti si assicurano che le risorse siano inutilizzabili perché i gruppi nemici non possano beneficiarne dalla vendita. A tutto questo si aggiunge il costo ambientale delle missioni umanitarie e quello della ricostruzione di Paesi e territori dilaniati dal conflitto. La necessità di intervenire per il disarmo climatico è, quindi, sempre più pressante e coinvolge tre aspetti che verranno approfonditi a Trento: l’analisi dell’impatto delle politiche di militarizzazione su clima ed emergenza ambientale, la relazione tra il cambiamento climatico e i conflitti e la transizione energetica, fondamentale, ma non priva di insidie.

* Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo