Giuridicamente rimane il diretto erede del Partito socialista unificato della Ddr (Sed) così come del Pds ricostituito all’indomani della caduta del Muro. Non a caso la sede centrale è ancora la storica, monumentale, centralissima Karl Liebknecht Haus affacciata su piazza Rosa Luxemburg: esattamente lo stesso edificio che ha ospitato prima la sede del partito comunista della Germania-Est e poi dell’Istituto per lo studio del marxismo-leninismo della Deutsche Demokratische Republik.

Politicamente, invece, rappresenta il socialismo democratico con ruoli di governo da Berlino fino alla Turingia, il «Land rosso» tuttora governato dal presidente Bodo Ramelow. Ma resta anche l’unico partito tedesco schierato contro la guerra e a favore della Pace dopo la svolta bellicista dei Verdi.

QUINDICI ANNI DOPO la nascita, la Linke celebra la sua fondazione, anche se in teoria c’è poco da festeggiare vista la clamorosa emorragia di voti alle urne federali e regionali. Eppure, nonostante tutto, l’estrema sinistra tedesca è tutt’altro che spenta, sterile o senza futuro: gli attuali 68.681 tesserati restano una «comunità politica» agganciata ai problemi che investono le fasce meno protette della società, dal lavoro alle pensioni. Mentre le sezioni sparse in tutta la Germania sono ancora il primo stadio dove la Sinistra costruisce programma e linea politica. Del resto, dai dirigenti ai militanti, la parola d’ordine della Linke è sempre la stessa: «Ripartire».

È COSÌ DAL 2007, quando i partiti del “Socialismo democratico” (Pds) e del “Lavoro e Giustizia Sociale – Alternativa Elettorale” (Wasg) si fondono nella “Linkspartei”. Forti dei numeri che fin dall’inizio sono rilevanti: la Wasg – contenitore politico della sinistra Spd e dei sindacalisti critici con il governo – un mese prima dell’unione raccoglie l’8,4% ed entra nel Landtag di Brema, vecchia città dei portuali e nuova capitale della disoccupazione.

Dal 2008 al 2010 la Linke entra in tutti i Parlamenti regionali superando la soglia di sbarramento a eccezione dell’inconquistabile Baviera, mentre in Assia offre l’appoggio esterno al governo guidato dalla socialdemocratica Andrea Ypsilanti che ha appena fatto dietrofront: da «Mai con la Sinistra!» alla richiesta di voti alla Linke per far nascere il suo esecutivo di minoranza. Funziona fino a quando 4 deputati Spd si tirano indietro, ma per la Linke, politicamente, rappresenta la rottura del ghiaccio: l’anno seguente arriva l’incredibile secondo posto di Ramelow (27,4%) alle elezioni in Turingia: solo quattro punti dietro la Cdu.

È il tempo dei successi e il 2009 è l’anno del 7,5% alle Europee. La Linke vince a Est e convince a Ovest con Oskar Lafontaine, il “Leone della Saar” capace di conquistare il 21,3% nel Land dei minatori.

IL GOVERNO È ANCORA lontano ma non più un miraggio. Alle elezioni del Brandeburgo la Linke si classifica seconda con il miglior risultato di sempre (27,2%). Vuol dire entrare in coalizione con la Spd e la poltrona di vice-governatore mentre nello Schleswig-Holstein il partito ottiene il primo seggio della storia.

Nel 2010 vengono eletti segretari Klaus Ernst e Gesine Lötzsch e si assiste al primo significativo calo di voti con l’esclusione dai Parlamenti di Baden-Württemberg e Renania-Palatinato. Pesano le dinamiche interne, come la difesa del Muro di Berlino dei dirigenti del Meclemburgo-Pomerania e la lettera di auguri a Fidel Castro per l’85 esimo compleanno.

Il risultato è la perdita della maggioranza a Berlino e la sostituzione della Linke come partner di minoranza con la Cdu. Si è accesa la fase del “buio”; La “luce” arriverà nel 2014 con la conquista della Turingia. Per la prima volta la Linke governa direttamente con il primo ministro Ramelow. Nel 2015, però, in Sassonia-Anhalt il candidato Wulf Gallert precipita il partito dal 23,7 del 2011 a “solo” il 16,3%.

DUE ANNI DOPO gli Spitzenkandidat sono Sarah Wagenknecht e Dietmar Bartsch ed emerge il disaccordo con Spd e Verdi. «Meglio una buona opposizione che un cattivo governo» è lo slogan dell’epoca. Nel frattempo dal 2012 la segreteria è affidata a Katja Kipping e Berndt Riexinger mentre scoppia lo scontro interno fra l’“internazionalista” Kipping e la “sovranista” Wagenknecht schierata in «difesa del tradizionale interesse dell’operaio tedesco».

Una vera «frattura sociale» e il periodo più difficile della Linke. Soluzione? «Ripartire». Ancora una volta, con due volti nuovi per la prima volta entrambi al femminile. Lo scorso febbraio il congresso elegge segretarie Susanne Hennig-Wellsow e Janine Wissler con il programma incentrato su aumento delle pensioni e patrimoniale. Sarebbe il nuovo inizio promesso; se non fosse che alle elezioni federali la Linke non raggiunge neppure il 3% della soglia di sbarramento. Il partito entra al Bundestag solo grazie al mandato diretto vinto da Gregor Gysi, Gesine Lötzsch e Sören Pellmann.

SI APRE LA «FASE dell’ascolto degli elettori delusi», finché la Linke viene investita dalle accuse di sessismo di alcuni dirigenti in Assia e dalla tripla débâcle alle Regionali di Saar, Nordreno-Vestfalia e Schleswig Holstein che “espelle” la Linke dai Parlamenti locali. L’esito sono le dimissioni di Hennig-Wellsow mentre lascia definitivamente il partito anche Lafontaine. Ma si riparte. Di nuovo. Con il congresso fissato a fine mese per eleggere i due nuovi co-leader.