La liberazione di Sinjar apre all’offensiva su Mosul
Kurdistan iracheno Dalla linea del fronte alle porte di Mosul i peshmerga celebrano la vittoria: «Metteremo in sicurezza l'area e sposteremo il confine a sud». Sconfitta enorme per lo Stato Islamico, ora tagliato in due
Kurdistan iracheno Dalla linea del fronte alle porte di Mosul i peshmerga celebrano la vittoria: «Metteremo in sicurezza l'area e sposteremo il confine a sud». Sconfitta enorme per lo Stato Islamico, ora tagliato in due
La strada sterrata, chiusa ai lati da cumuli di terra, segna la linea del fronte: di qua i peshmerga, di là lo Stato Islamico. Siamo sulla piana di Ninawa, 20 km da Mosul, 80 da Sinjar, e cinque checkpoint prima di poter arrivare da Erbil: nell’ultimo l’esercito kurdo ci tiene per mezz’ora ad aspettare.
Un gruppo di peshmerga presidia la valle da una piccola postazione, una casupola e qualche veicolo militare: «Quelle dietro di noi sono le montagne di Bashiqa e Zardek, le abbiamo liberate un anno fa. Qua davanti i villaggi che vedi sono comunità cristiane, ancora sotto il controllo del nemico».
Oggi è giorno di festeggiamenti in Kurdistan: Sinjar è stata liberata, una sconfitta drammatica per lo Stato Islamico che perde continuità al confine con la Siria, con la “capitale” Raqqa, e vede spezzata la via di comunicazione tra Sinjar e Mosul. Il presidente kurdo Masoud Barzani ne ha dato l’annuncio ieri, vicino alla città yazida («Sono qui a dichiarare la liberazione di Sinjar»), mentre gruppi di peshmerga presidiavano le strade per individuare ordigni inesplosi e assumevano il controllo delle fabbriche, dell’ospedale e degli edifici pubblici.
Nel quartier generale di Bashiqa – 10mila uomini che controllano 30 km di confine – ci si congratula a vicenda. Ci mostrano soddisfatti alcuni carri armati, di fabbricazione Usa e destinati all’esercito iracheno: l’Isis li aveva confiscati, ora sono in mano kurda. «Dobbiamo prenderci le armi da soli, visto che la coalizione manda tutto a Baghdad e l’artiglieria pesante qui non arriva», lamenta un soldato. Un altro ci accompagna sul tetto dell’edificio dove i peshmerga dormono: materassi sono stesi a terra, uno attaccato all’altro, in mezzo a posaceneri e dadi da gioco. Dal tetto ci mostra le zone liberate: «Bashiqa era stata presa dagli islamisti dopo la caduta di Mosul, l’abbiamo riconquistata un anno fa».
Nella tenda principale il generale Hameed Afandi, ex ministro dei peshmerga, braccio destro di Barzani, fuma una sigaretta dopo l’altra e accoglie gli ospiti. «Avevamo pianificato la controffensiva da tempo – spiega al manifesto – È stata lanciata ora per le ottime condizioni meteo: Sinjar è in una valle e l’attacco all’Isis è partito dalle montagne intorno, da ogni direzione: sono stati circondati. I nostri uomini hanno subito preso il controllo della strada 47 tra Mosul e la Siria e liberato la città in poche ore. Non ci sono più islamisti all’interno, un’ora fa mi è arrivata la conferma: Sinjar è in mano kurda».
Alla controffensiva, aggiunge, hanno preso parte migliaia di yazidi ancora residenti a Sinjar (molti addestrati dal Pkk), la popolazione che ha vissuto le peggiori brutalità islamiste: donne rese schiave, uomini uccisi in massa, civili affamati dall’assedio.
Il rumore di un’esplosione lo interrompe: il generale va a chiedere conferme («Solo una mina»), poi riprende a parlare. «Il prossimo obiettivo? Metteremo in sicurezza la zona di Sinjar e poi sposteremo la linea del fronte verso il fiume Tigri, verso Mosul. Abbiamo peshmerga ovunque, ora sarà facile pensare alla controffensiva. Non vogliamo Mosul, è una città araba. Il territorio kurdo arriva fino alla diga, al fiume: questo è quello che ci spetta».
Chiediamo se un’eventuale operazione per la ripresa di Mosul possa avvenire attraverso il coordinamento con l’esercito di Baghdad: «Non abbiamo ancora ricevuto ordini da Erbil in merito ad un’eventuale azione comune con l’Iraq – dice Afandi – Per quanto ci riguarda proseguiremo fino a quando non avremo liberato l’ultimo centimetro di Kurdistan. Chissà, potremmo coordinarci ancora con chi ci ha sostenuto in questo anno: l’assedio del monte Sinjar ad agosto del 2014 è stato rotto grazie all’intervento delle Ypg [unità di difesa dei kurdi siriani, ndr]: per la prima volta nella storia kurdi iracheni e kurdi siriani hanno combattuto insieme. Loro ci hanno sostenuto qui, noi li abbiamo aiutati a Kobane. Qua tra i miei uomini ci sono anche kurdi dall’Iran».
La ripresa di Sinjar rappresenta un significativo arretramento per l’Isis che per un anno ha potuto liberamente muoversi dall’Iraq alla Siria, trasportando uomini, leader militari, armi, petrolio di contrabbando. Ora lo Stato Islamico è diviso in due entità, non più territorialmente connesse. E, oltre alla perdita di una città strategica dal punto di vista militare, la fuga in 24 ore dei miliziani islamisti da Sinjar danneggia seriamente la macchina della propaganda approntata dal “califfo” al-Baghdadi.
«Una nuova offensiva del nemico a Sinjar è improbabile – conclude il generale Afandi, mentre spegne l’ultima sigaretta – Per loro sarebbe un rischio, una volta che la zona sarà del tutto controllata militarmente dai peshmerga. Sono costretti a ripiegare e questo li renderà ancora più temibili, a Mosul».
–> Read the English version of this reportage at il manifesto global
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