La lettera della Ue sulle pensioni cucita su misura
La lettera di Dombrovskis e Moscovici al Governo italiano del 22 novembre è un inedito, soprattutto nei contenuti. È la prima volta che viene inserita la previdenza come oggetto del […]
La lettera di Dombrovskis e Moscovici al Governo italiano del 22 novembre è un inedito, soprattutto nei contenuti. È la prima volta che viene inserita la previdenza come oggetto del […]
La lettera di Dombrovskis e Moscovici al Governo italiano del 22 novembre è un inedito, soprattutto nei contenuti.
È la prima volta che viene inserita la previdenza come oggetto del contendere – «in particolare per quanto riguarda le pensioni» – da quando esiste il semestre europeo di valutazione dei bilanci pubblici. Sebbene la dizione sembri stringente e severa come e quanto l’Unione e in particolare Dombrovskis sono capaci di fare, il sospetto che la lettera sia stata scritta sotto dettatura è forte; forse qualcuno al governo ha voluto stringere il cappio sulla previdenza una volta per sempre, magari con la prospettiva di una candidatura alla presidenza dell’eurogruppo dopo la «sconfitta» di Milano per la candidature di Ema.
Il richiamo contenuto nella lettera della Commissione Europea, ripeto, è inusuale soprattutto se consideriamo la posta in gioco: l’impatto negativo sui conti pubblici del primo anno è di 9,4 milioni con il coinvolgimento di 14.600 persone (Relazione Tecnica).
Non è la prima volta che il così detto mainstream europeo reclami severità per sforamenti di bilancio anche per 3 miliardi di euro, ma la denuncia dei decimali dei decimali è un inedito assoluto.
Nemmeno Von Hayek avrebbe mostrato tanto zelo, ma Von Hayek era almeno figlio della storia e di una certa narrazione della stessa. Probabilmente tutta la classe dirigente è caduta nel gorgo della post modernità dove la narrazione della storia scompare, ma in questo modo svanisce il tempo, la storia e quindi la società.
L’economia come scienza sociale precipita nel buio e negli archivi impolverati delle biblioteche. Le regole oscure dell’output gap legate al Fiscal Compact, che tra l’altro scadono alla fine del 2017, sono la manifestazione più eclatante della post modernità tecnocrate.
Padoan, ex sinistra indipendente, è capace di sostenere che le misure sarebbero a favore dei giovani, in realtà sono i più penalizzati, palesando l’evoluzione post moderna di certa classe dirigente.
Senza scomodare Smith o altri interpreti dell’economia moderna, la lettera della Commissione richiama la fine della società, piegandola a mera contabilità. Scompare il tempo e la narrazione dei fenomeni sociali e, peggio ancora, la società come un insieme di classi che nel tempo evolve e modifica le proprie aspettative.
Scompare Norberto Bobbio – L’età dei diritti – e la sua declinazione dei diritti di II generazione che attengono ai cosiddetti diritti sociali, il cui nucleo principale è rappresentato dalla richiesta dei cittadini allo Stato relativa alla soddisfazione dei loro bisogni (in cambio di un’adeguata tassazione).
Ho sempre pensato come altri economisti che la crisi economica che stiamo vivendo avrebbe comportato cambiamenti profondi negli orientamenti della ricerca nel campo dell’economia e, soprattutto, della macroeconomia. È un’opinione sostenuta da molti, anche sulla base delle esperienze del passato.
Naturalmente i cambiamenti nella cultura economica possono essere fortemente rallentati dalla forza degli interessi economici dominanti, tuttavia è difficile che vicende drammatiche di vasta portata non abbiano conseguenze sul dibattito teorico e politico.
Dal 2007 sono passati ormai 10 anni.
La crisi di accumulazione non ha precedenti storici, ma dal lato delle politiche si osserva la scomparsa della società e del tempo in ragione di equilibri economici che nessuno potrebbe dimostrare se vivessimo ancora la modernità come narrazione della società.
Come il mio Maestro Paolo Leon e così come Sylos Labini ricordavano durante le loro lezioni, il tempo e la storia sono la vera discriminante tra liberismo ed economia classica.
Se dopo 10 anni di crisi non è cambiato nulla e la policy fonda le sue misure con la pretesa che l’attimo diventa il tutto, altro che Stephen Hawking e la teoria del tutto, vuol dire che siamo in condizioni peggiori di quelle che immaginavo.
Forse, proprio la scomparsa della società e del tempo ha inaridito strutturalmente l’evoluzione delle idee e quindi la soluzione dei problemi.
È difficile costruire una narrazione diversa in assenza della società, almeno come percezione.
La sfida che attende tutte le persone perbene è forse più grande di quella che potevamo immaginare all’inizio del 2008.
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