Chi lo spiegherà a Matteo (nome di fantasia) che quei due cognomi che ha imparato a pronunciare di seguito al suo nome, quasi fossero una cosa sola, una filastrocca detta tutta d’un fiato, verranno tranciati e ne resterà solo uno? Chi gli spiegherà che quella che ha sempre chiamato mamma per lo Stato sarà una sconosciuta, con nessun diritto e dovere nei suoi confronti? Matteo, che ha 3 anni e mezzo e non conosce altra normalità se non quella della sua famiglia formata da due mamme e una sorellina di 7 mesi, è uno dei 33 bambini di cui la Procura di Padova nei giorni scorsi ha impugnato gli atti di nascita. Atti registrati dal 2017 ad oggi dal sindaco Sergio Giordani.

«Un fulmine a ciel sereno», commenta sua madre, Anna (nome di fantasia). Un pugno nello stomaco, una scossa di terremoto che fa tremare l’intera casa e la famiglia. «Nessuno si aspettava quello che è successo, considerando che la registrazione è ormai una pratica rodata, fatta da anni senza grandi problemi», continua raccontando come lei e la moglie, nonostante risiedano nel veneziano, abbiano preferito partorire a Padova anche per essere sicure di non avere problemi con la registrazione dei bambini.

Non è passato nemmeno un anno dalla nascita della figlia minore. Eppure, in soli 7 mesi, è cambiato tutto. Anzi, è successo tutto molto più velocemente. Tutto in una settimana. Verrebbe da chiedersi che suono abbia l’attacco ai diritti, se una musica grottesca, il carillon dei film horror o il passo pesante di King Kong. Niente di tutto ciò, l’attacco è stato praticamente silente. Nell’era Meloni ha la sottigliezza dell’ambiguità, procede per i meandri burocratici e quando avviene non fa rumore. Succede e basta.

«Viviamo nell’ansia», continua Anna, che non ha ancora ricevuto la raccomandata dalla Procura ma «è solo una questione di giorni, siamo in contatto con l’associazione Famiglie Arcobaleno e sappiamo che la lettera toccherà anche a noi». Queste sono le ultime ore in cui lo Stato riconosce la famiglia di Matteo, Chiara e delle loro due mamme. E dopo? «Dopo sarà tutto diverso. Io sono la mamma biologica di un bambino, mia moglie lo è dell’altra, per lo Stato saremo due nuclei familiari a sé stanti». Una volta ricevuta la raccomandata, Anna sarà una mamma a metà. Biologica di uno, di cuore dell’altro, quando l’amore non si taglia con il coltello, non si inserisce nel format di un documento dell’anagrafe. L’amore per i suoi bambini sarà lo stesso, ma uno potrà andarlo a prendere all’asilo, per l’altra servirà una delega. «Non potrò entrare dal pediatra, o stare accanto alla bambina in ospedale, se dovesse stare male. Non potrò andare a fare un weekend al mare senza mia moglie, perché se dovessi avere un incidente lei rischierebbe di essere accusata di abbandono di minore».

Nel caso di morte improvvisa di una delle due, Matteo o Chiara potrebbero essere considerati adottabili in quanto orfani. «Anche i nostri figli hanno diritti. Così perdono la possibilità di essere protetti». La questione è politica, favorita dall’opportunità giuridica del vuoto legislativo, dal momento in cui una vera legge a tutela di queste famiglie non c’è. «La responsabilità è di tutti, non solo del governo Meloni. Ma anche di chi c’è stato prima, sono vent’anni che chiediamo un intervento legislativo. Forse è arrivato il momento di farlo». Prima di lunedì, del mese scorso, di uno o cinque anni fa, questi bambini e queste famiglie ci sono sempre state. Erano lì, a dividersi tra casa, scuola e vaccinazioni. Ma non si è fatto nulla per evitare di arrivare ad avere bambini di serie A e bambini di serie B. Oggi, Anna – e con lei tutte le altre – rischia di diventare una mamma di cuore, con delega per il ritiro.

Ieri le mamme dei 33 bambini hanno manifestato davanti al Tribunale di Padova con tante altre donne, circa 300, striscioni, peluche e bambolotti. Su uno dei fogli posati sul selciato una scritta rivolta ai magistrati della procura: «La maestra ci ha insegnato che siamo tutti uguali. La tua maestra, non te l’ha insegnato?»