La J&J prova a risolvere le cause con 6,5 miliardi e un fallimento pilotato
Stati Uniti Il famosissimo prodotto in polvere della Johnson&Johnson sott'accusa nei tribunali. Circa 60mila cause negli Usa per i tumori alle ovaie. La compagnia propone un piano scritto con i legali delle vittime
Stati Uniti Il famosissimo prodotto in polvere della Johnson&Johnson sott'accusa nei tribunali. Circa 60mila cause negli Usa per i tumori alle ovaie. La compagnia propone un piano scritto con i legali delle vittime
La multinazionale del borotalco Johnson&Johnson ha stanziato sei miliardi e mezzo di dollari nei prossimi venticinque anni per risarcire le donne che hanno fatto causa per una rara forma di cancro alle ovaie provocata dall’amianto presente nel suo talco Johnson’s baby powder.
L’azienda si propone di chiudere tutti i contenziosi attraverso la dichiarazione di bancarotta di una controllata, la LLT Management, e il pagamento dei risarcimenti. Il piano è stato elaborato insieme agli avvocati delle vittime e ha l’obiettivo di risolvere il 99,75 per cento delle cause civili intentate contro l’azienda, che ammontano a circa 60 mila. Di queste, 54 mila sono state raggruppate in un unico procedimento federale nel New Jersey.
Ora l’accordo sarà sottoposto alle vittime. Se almeno il 75 per cento di loro lo accetterà, diventerà operativo, mentre le altre cause saranno affrontate in altri modi. Secondo l’azienda, si tratta di una cifra «che rappresenta un recupero di gran lunga migliore di quello che le ricorrenti potrebbero recuperare in sede di processo».
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Il talco in codice rosso: può causare il cancroLa multinazionale con sede a New Brunswick, in New Jersey, ha sempre contestato la correlazione tra i tumori e il talco, citando uno studio del 2020 su 250 mila donne che non avrebbe rivelato una correlazione statistica fra l’utilizzo del borotalco e il cancro alle ovaie. Secondo due inchieste della Reuters e del New York Times pubblicate nel 2018, invece, «almeno dal 1971 fino all’inizio degli anni 2000 il talco grezzo e le polveri finite dell’azienda talvolta risultavano positivi per piccole quantità di amianto» e «i dirigenti dell’azienda, i gestori delle miniere, gli scienziati, i medici e gli avvocati erano preoccupati sul problema e su come affrontarlo senza rivelarlo alle autorità di regolamentazione o al pubblico». L’azienda è stata già condannata diverse volte a pagare risarcimenti milionari per i tumori causati dai suoi prodotti. Nel 2017 una giuria di Los Angeles l’ha condannata a risarcire con 417 milioni di dollari una donna che si era ammalata di cancro alle ovaie. Nel 2019 la Food and Drug Administration statunitense ha trovato amianto in un campione di talco della Johnson&Johnson, che ha ritirato il prodotto «per un eccesso di precauzione». Nel 2021 la Corte Suprema l’ha costretta a pagare risarcimenti per oltre due miliardi di dollari ad altre ventidue donne che si erano ammalate di tumore ovarico. Per evitare ulteriori cause la multinazionale ha fermato la produzione del talco, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, sostituendolo con una formula a base di amido di mais. Nel 2023, però, un gruppo per i diritti umani, l’African Center for Corrective and Preventive Action, l’ha citata in giudizio perché il talco era ancora disponibile per la vendita in Kenya.
La compagnia ha già cercato per due volte di risolvere le cause legali attraverso la dichiarazione di fallimento di una controllata. In entrambi i casi, nel 2021 e nel 2023, la richiesta è stata respinta dai giudici perché la società non era in difficoltà finanziaria, che è un requisito fondamentale per la domanda di fallimento. Un anno fa ha accompagnato la richiesta di fallimento con una proposta di transazione da 8,9 miliardi di dollari, che è stata respinta dal tribunale fallimentare. A gennaio ha accettato di pagare circa 700 milioni di dollari per risolvere un’indagine portata avanti da più di quaranta Stati americani sulla commercializzazione del talco. Ora ci riprova sbandierando l’accordo degli avvocati sui risarcimenti, che a suo dire «è nei migliori interessi di chi ha fatto causa».
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