Commenti

La giustiziera di Viareggio, che razza di omicidio

L'arrivo di Cinzia Dal Pino nella sua abitazione a Viareggio, 11 settembre 2024. Fermo non convalidato e arresti domiciliari per l'imprenditrice accusata di omicidio volontario del 47 enne Said Malkoun. ANSA / Roy LeporeL'arrivo di Cinzia Dal Pino nella sua abitazione a Viareggio – Ansa

Lo scippo di verità Non si può dire che il sistema mediatico italiano pecchi di distrazione o disinteresse di fronte a casi eclatanti di cronaca nera. Nei casi migliori, al contrario, li usa per […]

Pubblicato 26 giorni faEdizione del 14 settembre 2024

Non si può dire che il sistema mediatico italiano pecchi di distrazione o disinteresse di fronte a casi eclatanti di cronaca nera. Nei casi migliori, al contrario, li usa per scandagliare il senso e le implicazioni di quei fatti, nei peggiori indulge e si dilunga in dettagli non precisamente essenziali.

Anche per questo, ma non solo per questo, stupisce la sobria discrezione, ai limiti della reticenza, con la quale la stragrande maggioranza delle testate si è occupata di un caso da ogni punto di vista traumatico come quello di una donna che, avendo subito uno scippo, insegue lo scippatore con il suo Suv, lo uccide passando sul suo corpo a più riprese, si riprende la borsetta trafugata e si allontana come se nulla fosse.

È non solo lecito ma necessario domandarsi se le cose sarebbero andate allo stesso modo a parti rovesciate. Ma è lecito anche chiedersi se la stessa sobrietà sarebbe stata adoperata se a farsi giustizia da solo fosse stato un qualsiasi giovane proveniente dai quartieri poveri e disagiati delle nostre città, per quanto incensurato. I precedenti dicono che l’attenzione dei media, ma anche della politica, sarebbe stata ben altra e che in quel caso ci si sarebbero posti gli interrogativi di natura sociale e culturale che una vicenda del genere dovrebbe rendere urgentissimi.

La perplessità non si limita alla rapidità con la quale i media hanno derubricato questo omicidio a notizia breve da pagine interne e neppure al silenzio della politica. È difficile credere che, se a rendersi responsabile di un caso da manuale come questo di flagranza differita non fosse stata una persona bianca, italiana e della classe medio-alta, quella persona sarebbe comunque uscita dal carcere in appena 24 ore, sia pure se fornita di braccialetto elettronico.

Temo che nel caso dell’omicidio di Viareggio, perché di questo si tratta, siano scattati due pregiudizi: uno razziale, perché l’assassinato era un ladruncolo di colore e immigrato mentre la giustiziera era bianca e nativa, l’altro sociale, perché non si può trattare una imprenditrice ben conosciuta e rispettata nella sua città come una poveraccia qualsiasi. Ciò non significa invocare gogne e giustizialismo rigido, che andrebbero anzi evitati sempre e non solo in pochi e selezionati casi.

Si tratta però di interrogarsi sia sul significato di un episodio così atroce ed estremo sia sulla reazione del sistema mediatico, così anomala e in contrasto con gli usi e le abitudini di quel medesimo sistema.

È un interrogativo incalzante perché la responsabilità di un delitto ricade solo su chi quel delitto ha commesso e spetterà a una Corte valutare e giudicare quella responsabilità ma spetta invece ai media e alla politica verificare se quel gesto dice qualcosa di grave ed estremamente allarmante sulla nostra cultura e sulla nostra società.

Se non lo fanno, danno già una risposta che li coinvolge direttamente e quella risposta, forse ancora più del delitto in sé, desta la sensazione sgraditissima di trovarci non di fronte a una vicenda successa in una delle nostre città ma nell’Alabama ai tempi non lontani delle Jim Crow Laws.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento