La giovane vittima: «Sono stanca, mi state portando alla morte»
Stupro di Palermo La ragazza trasferita in una comunità protette. Il Garante della privacy apre un'istruttoria sulla diffusione delle generalità della vittima
Stupro di Palermo La ragazza trasferita in una comunità protette. Il Garante della privacy apre un'istruttoria sulla diffusione delle generalità della vittima
«Sono stanca, mi state portando alla morte». A scriverlo su una storia Instagram è la diciannovenne di Palermo che ha subito uno stupro da parte di sette suoi coetanei e che da ieri è stata trasferita in una comunità protetta. Il messaggio risponde all’ennesimo commento in cui si insinua che non sia stata una violenza ma sesso consensuale.
Nei giorni precedenti, sotto ai suoi post di Tik Tok e Instagram, tra la valanga di messaggi di solidarietà era apparso anche il repertorio classico di giudizi sessisti: non doveva bere, non doveva postare le sue foto in costume, se l’è cercata, e altri abomini di questa sorta.
La ragazza, lo scorso 26 agosto, aveva preso parola, per la prima volta dopo i fatti, con un moto di rabbia, rivendicando il diritto alla libertà di essere se stessa. Le critiche alla vittima sono una pratica molto diffusa nei casi di stupro, il termine tecnico è «vittimizzazione secondaria» ed è un rischio dal quale da anni i centri anti-violenza e i gruppi femministi mettono in guardia. La ragazza ha mostrato di essere consapevole degli effetti che questo linciaggio pubblico può avere sulla psiche di chi ha subito violenza. «Se andate a scrivere cose del genere a ragazze a cui succedono cose come me, e fanno post come me, potrebbero ammazzarsi. Sapete che significa suicidio?», scriveva ancora nel suo sfogo di sabato.
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La Palermo femminista reagisceIeri però ha prevalso il dolore e soprattutto la stanchezza: «Non ho più voglia di lottare, né per me né per gli altri. […] Pensavo di farcela. Non è così». A chiudere la comunicazione una frase che allude alla possibilità di togliersi la vita.
Le generalità della giovane non dovevano essere rese pubbliche, come prescritto dalla legge, tanto che il Garante della privacy ha aperto un’istruttoria sul caso. Ma nella giungla del web le tutele sono saltate fin da subito, l’account Tik Tok della ragazza è stato reso noto poche ore dopo la diffusione della notizia, insieme al suo canale Instagram sul quale il numero di follower è esploso in pochi giorni.
Le frasi colpevolizzanti, che fioccavano già sulle piattaforme come nelle trasmissioni tv e radiofoniche, sono arrivate anche sui profili della vittima. Dopo il post di ieri si è sollevato un coro apprensivo di sollecitazioni ad «aiutare» questa giovane donna. Per farlo serve però il supporto di persone competenti, non bastano certo i messaggi di sostegno. La responsabilità delle parole che si pronunciano o scrivono invece, è un peso che ricade su tutti e tutte.
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