La Palermo femminista reagisce
«Ti rissi no», tre parole che la forma dialettale, in palermitano, rende ancora più efficaci: ti ho detto no. Perché il consenso di cui tanto si parla e che molto si indaga è in fondo una cosa semplice. Lo hanno scritto a caratteri cubitali su uno striscione le attiviste di Non Una Di Meno Palermo, dopo lo stupro di gruppo avvenuto nella loro città.
«A Palermo in questi giorni si parla tanto di quello che è successo. È una cosa positiva che ci sia attenzione sul tema della violenza di genere ma questo episodio, emerso come un fatto eccezionale, in realtà è simile a tanti altri casi che avvengono ogni giorno. Quello che ha fatto la differenza è il modo in cui i media lo hanno raccontato. Ne hanno svelato ogni minimo dettaglio in una forma quasi morbosa». A parlare è Roberta Ferruggia, giovane attivista del collettivo transfemminista “Non Una di Meno Palermo”, che racconta i passaggi di una mobilitazione cittadina che mercoledì scorso ha dato vita a un’assemblea pubblica partecipata da diverse centinaia di persone.
Cosa vi ha spinto a convocare un’assemblea in piazza?
Avevamo già lanciato degli appuntamenti pubblici nei giorni precedenti. Una “passeggiata rumorosa” organizzata in poche ore appena è uscita la notizia e poi un presidio davanti al Tribunale, qualche giorno dopo, mentre erano in corso gli interrogatori dei giovani identificati come colpevoli. Ci siamo rese conto, anche da tutti i messaggi che sono arrivati sulle nostre pagine social, che la città ma anche noi stesse avevamo bisogno di un momento di confronto pubblico e collettivo. Molte reazioni di questi giorni sono state di pancia, l’obiettivo era canalizzare questo sdegno dentro un percorso cittadino ampio che metta al centro il contrasto alla violenza di genere.
Cosa è emerso da questo confronto pubblico?
Siamo rimaste colpite da come è andata. Non solo perché c’erano tantissime persone, molte lontane dai circuiti militanti, ma anche perché abbiamo elaborato un punto di vista davvero condiviso. Il fatto che non si tratta di un episodio isolato ma di un fenomeno strutturale che va affrontato nelle scuole, nelle università e nei luoghi di lavoro. Dai fischi per strada al gender pay gap, fino al lavoro di cura non retribuito. I femminicidi e gli stupri sono solo l’apice di una piramide che è la violenza di genere. E poi bisogna smettere di chiamarli “mostri, bestie, orchi” e riconoscere invece come la cultura dello stupro sia radicata nella società. È chiaro che fa paura pensare che tuo padre, tuo fratello, il tuo compagno, tuo zio possano fare qualcosa del genere. Ma è così. Non è una favola e non ci sono lupi cattivi.
Gli uomini hanno preso parola in questo momento di confronto?
Ha parlato solo un ragazzo del Palermo Pride. Ma in piazza c’erano tantissimi maschi. In questa occasione sono rimasti più che altro in ascolto.
Che risposte sono arrivate in questi giorni dalle istituzioni?
Questo è stato un altro tema centrale dell’assemblea pubblica. Un assessore della giunta di Palermo ha subito proposto di incrementare la presenza delle forze dell’ordine. Ma noi non vogliamo una militarizzazione dello spazio pubblico, perché le violenza sessuali avvengono ovunque. Stesso errore di chi ricerca la soluzione solo nei tribunali, senza dire che a volte chi denuncia una violenza viene messa a sua volta in qualche modo sotto processo.
Come Non Una Di Meno Palermo in quali ambiti siete attive maggiormente?
Questo collettivo nasce intorno al 2018. Negli hanno abbiamo costruito un gruppo ampio e un’ampia rete di alleanze cittadine. Noi ci occupiamo molto di salute, gestiamo uno sportello ginecologico all’interno di un ambulatorio popolare che si trova a Borgo Vecchio, dentro il centro sociale Anomalie. Qui a Palermo i consultori ci sono anche ma c’è un grande problema di personale che manca e soprattutto di attrezzature. Poi siamo attive nelle scuole dove facciamo degli incontri di educazione sessuale e e di genere. Da lì ci rendiamo conto che tra i ragazzi e le ragazze c’è consapevolezza ma anche tanto bisogno di spazio per parlare di sé, di relazioni, di quello che gli accade.
Avete avuto contatti con la ragazza sopravvissuta alla violenza?
No, non la conosciamo e non abbiamo cercato in alcun modo di contattarla, per una forma di rispetto e di tutela, immaginando la pressione che starà subendo. Ma si può dire che tutto quello che abbiamo fatto pubblicamente in questi giorni ha voluto essere anche un messaggio a lei, che speriamo le sia arrivato in qualche modo. Volevamo dirle che non è e non sarà mai sola.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento