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«La foresta ferita», il vero oro dell’Amazzonia

«La foresta ferita», il vero oro dell’AmazzoniaUna scena de «La foresta ferita»

Tv In onda lunedì 21 agosto su Rai3 il reportage di Serena Del Prete e Fabio Colazzo nell'ambito del programma Il fattore umano. La popolazione Yanomami decimata dalla corsa all'oro, le responsabilità manifeste

Pubblicato circa un anno faEdizione del 19 agosto 2023

La colonizzazione vive anche di terribili paradossi. È ciò che è accaduto in Brasile, nello Stato del Roraima: l’apertura della strada ha turbato la quotidianità della popolazione Yanomami, nella foresta amazzonica. Il contatto con la «civiltà» ha reso i nativi vulnerabili a diverse malattie, decimandoli. Ora però non ci sono gli elicotteri per soccorrerli adeguatamente, per trasferirli negli ospedali. Inizia così La foresta ferita, reportage giornalistico di Serena Del Prete e Fabio Colazzo che andrà in onda su Rai3 lunedì 21 agosto alle ore 23.15 nell’ambito de Il fattore umano, programma che si propone di monitorare le violazioni dei diritti umani nel mondo portando le telecamere lì dove esse avvengono.

PER ENTRARE in contatto con gli Yanomami – popolazione con una concezione cosmo-ecologia interessantissima, per scoprirla consigliamo la lettura del libro La caduta del cielo di Davi Kopenawa e Bruce Albert (nottetempo) – Del Prete e Colazzo hanno bisogno di alcune guide. Nel reportage ce ne sono due, entrambe dal grande fascino. Il primo è Carlo Zacquini, un missionario che dagli anni Sessanta opera in Amazzonia. «Non ho mai parlato loro del mio Dio», dice, ma la sua esistenza è stata completamente stravolta dal contatto con la vita indigena abbracciando pienamente la lotta per la sua difesa. La seconda è Clara, un’infermiera brasiliana, vera figura di confine: decora il suo volto come le donne indigene, conosce profondamente quella realtà.

GRAZIE a loro ne La foresta ferita ci addentriamo man mano in quella che è la causa delle sofferenze del popolo Yanomami. I garimpeiros, cercatori d’oro, non si fanno scrupoli a distruggere quelle terre, a portare le loro pompe e i loro motori, devastando un ecosistema per carpirne la ricchezza materiale. Il processo ha causato un vero e proprio genocidio tra gli indigeni e le responsabilità sono fin troppo manifeste. L’ex presidente Bolsonaro si è infatti definito lui stesso un cercatore d’oro, come lo era suo padre – «tengo sempre un setaccio nel portabagagli», dice – e ha spianato la strada a questi individui senza scrupoli. È la prosecuzione della colonizzazione con altri mezzi – anche se a ben vedere sono sempre gli stessi – che ci spinge a capovolgere completamente il concetto di civiltà.

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