Dopo una riunione sui tassi di interesse durata due giorni, la Federal Reserve ha concluso che per combattere l’inflazione dovrà aumentare il tasso di interesse di riferimento di tre quarti di punto percentuale.

L’aumento più corposo dal 1994 che arriva dopo l’aumento dei tassi di mezzo punto di maggio, il più grande in 22 anni. E gli investitori si aspettano che la Fed alzi il tasso intorno al 4% entro la fine dell’anno (prima della Grande Recessione i tassi erano saliti fino al 5,25%).

Per diversi economisti una nuova recessione sembra inevitabile, primo fra tutti l’ex ministro del Tesoro Larry Summers. È un’opinione diffusa anche a Wall Street dove gli indici, dopo il crollo di lunedì, rimangono negativi. Il presidente della Banca centrale, Jerome Powell per mesi ha definito l’inflazione un fenomeno «transitorio», ma i fatti lo hanno smentito: a maggio i prezzi sono aumentati dell’8,6%. Non accadeva dagli anni ’80.

ORA CON LA MOSSA della Fed la forbice del costo del denaro passerebbe dall’attuale 0,75%-1% all’1,5-1,75%. Ogni volta che la Fed aumenta i tassi i prestiti diventano più dispendiosi, con costi di interesse più elevati per mutui, carte di credito, debito studentesco e prestiti per acquistare auto. Anche i prestiti commerciali aumentano, coinvolgendo imprese grandi e piccole. Non sarà più così vantaggioso stipulare mutui o prestiti auto, ma i contanti sui conti bancari guadagneranno finalmente qualcosa, anche se non molto.

Biden ripete che l’inflazione è la sua priorità. Un piano per combatterla il presidente l’avrebbe, ma non riuscirà mai ad attuarlo, visto l’ostruzionismo che il Gop ha già promesso al Senato. Con l’approcciarsi delle elezioni di midterm il partito repubblicano ha tutto l’interesse che l’economia Usa gestita dai democratici sia in declino e non ha alcuna intenzione di facilitarne la ripresa.

Biden, dal canto suo, ha sempre dichiarato che la Fed deve agire in modo slegato dalla politica, ma in questo caso ha fatto un’eccezione e il 31 maggio ha avuto un inusuale incontro con Powell alla Casa bianca.

«I prezzi scenderanno, in un modo o nell’altro», ha ripetuto Biden martedì mentre gli Usa si preparavano a una settimana cruciale per l’economia, e che non ha escluso nessun aspetto. Coinbase, il più grande scambio di criptovalute Usa, ha infatti annunciato che licenzierà il 18% del suo personale.

IL CEO DELL’AZIENDA ha affermato che una potenziale recessione potrebbe portare a «un altro inverno crittografico», una flessione dei prezzi delle criptovalute che rimane bassa per un lungo periodo, cosa che si sta già iniziando a vedere. All’inizio della settimana, Bitcoin è sceso al livello più basso da fine 2020 e un’altra criptovaluta ha temporaneamente interrotto tutti i prelievi.

Fattori come la guerra in Ucraina e l’inflazione hanno fatto innervosire gli investitori. Il gruppo di chi originariamente vedeva le criptovalute come una potenziale copertura contro l’inflazione diventa sempre meno numeroso, mentre si infoltisce quello di chi pensa che possano essere più rischiose delle azioni e delle obbligazioni standard.