La doppia rapina del ponte sullo Stretto
Il caso Al danno al territorio della megastruttura si aggiunge il furto nelle casse di Calabria e Sicilia, che colpisce le poche iniziative del 2024 per ridurre l’impatto ambientale
Il caso Al danno al territorio della megastruttura si aggiunge il furto nelle casse di Calabria e Sicilia, che colpisce le poche iniziative del 2024 per ridurre l’impatto ambientale
Alla ricerca disperata di fondi per finanziare la prima tranche del Ponte sullo Stretto senza aumentare ancora il deficit di bilancio, il governo Meloni ha messo le mani sul Fondo di Sviluppo e Coesione relativamente alle quote riservate a Calabria e Sicilia. La compartecipazione delle due regioni meridionali alla costruzione del mitico Ponte sarà per il prossimo anno pari a 1,6 miliardi, se questa decisione verrà mantenuta. La ricaduta sui territori sarà pesante: verranno in gran parte tagliate le risorse previste per le reti fognarie, per le infrastrutture ferroviarie locali, per il contrasto al dissesto idrogeologico, il potenziamento dei servizi sociali nelle aree interne in via di spopolamento.
La redazione consiglia:
Sul Ponte di Messina c’è il caos tra Forza Italia e LegaPerfetto. Questa è la transizione ecologica reale di questo governo. Alla rapina di territorio che comporta questa megastruttura si aggiunge una rapina nelle casse regionali che colpisce le poche iniziative previste per il prossimo anno per ridurre l’impatto ambientale, migliorare la resilienza rispetto agli eventi estremi, potenziare le infrastrutture ferroviarie locali, riequilibrare il territorio regionale tra aree costiere ed interne.
A questo blitz ha risposto stizzito il presidente della Regione Sicilia, il forzista Renato Schifani, mentre il governatore della Regione Calabria, il forzista Roberto Occhiuto, è rimasto in silenzio, almeno per adesso. Non si tratta, come si può intuire, solo di una lotta per la spartizione delle risorse comunitarie, ma di uno scontro tra Forza Italia e la Lega, con FdI defilato, come se non avesse avallato questa decisione. Sulla narrazione mitologica del Ponte che porterà centinaia di migliaia di posti lavoro, solleverà tutto il Sud, attrarrà l’universo mondo di turisti, si gioca tutte le carte Salvini che rischia di perdere il consenso che aveva nelle regioni meridionali a vantaggio degli altri alleati di governo.
Il Ponte come narcotico per addormentare il dibattito sulla famigerata autonomia differenziata che taglierebbe definitivamente le gambe ad un terzo della popolazione italiana. Allo stesso tempo, è proprio in Calabria e Sicilia che rimangono le ultime roccaforti di Forza Italia, che non può permettersi il lusso di arretrare in queste regioni se vuole mantenere il suo peso politico a livello nazionale. Di contro, Salvini deve dimostrare al suo partito, ed a chi aspetta di sostituirlo, che la sua scelta di passare da forza politica regionale (Lega Nord) a partito nazionale (Lega per Salvini), paga ancora. Pertanto sulla questione “Ponte sullo Stretto” si gioca una partita politica di primaria importanza. Sulla pelle dei cittadini delle due province interessate direttamente che, purtroppo, ignorano i danni ambientali, economici e sociali che quest’opera comporterebbe.
Al di là della bella manifestazione «No Ponte» del 2 dicembre scorso, chi vive in quest’area e vuole guardare in faccia la realtà è testimone di una sorta di rassegnazione/disperazione delle popolazioni locali rispetto a questa mega opera vista come l’ultima chance, come l’ultimo treno da non perdere. Il crescente divario Nord/Sud, l’uscita del Mezzogiorno dall’agenda politica governativa dagli anni ’90, ha prodotto non solo una emigrazione di massa delle nuove generazioni, ma anche una sfiducia totale nello Stato e nelle forze politiche che si manifesta anche nella crescente astensione al voto.
Se finora era vincente il discorso delle priorità per queste regioni (dalle ferrovie alle strade alla sanità ecc.) adesso non lo è più. Una parte rilevante dell’opinione pubblica locale è arrivata a questa amara e insensata conclusione: «Non fanno niente, solo chiacchiere, allora vediamo se lo fanno veramente questo ponte…». E non pochi aggiungono: «Se fanno il ponte saranno costretti a fare le altre infrastrutture che servono…». Ed è questa la parola d’ordine di Salvini che è stata metabolizzata da una buona parte della popolazione locale.
Bisognerebbe riprendere seriamente l’analisi dell’impatto di questa infrastruttura che non è una protesi, come viene presentata dai media, ma comporta uno sconvolgimento spaventoso delle opere che sono necessarie per arrivare al Ponte.
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