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La diga di Scholz traballa, oggi il caso-Leopard al Bundestag

La diga di Scholz traballa, oggi il caso-Leopard al BundestagIl cancellerie Scholz di fronte a un Leopard 2 a Ostenholzr – Ap/Moritz Frankenberg

Il limite ignoto La Polonia chiede formalmente di inviare i suoi tank. La stampa americana annuncia: gli Usa invieranno i loro carri Abrams. E Berlino dovrà mandare i suoi

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 25 gennaio 2023

Forse, bisognerà aspettare ancora da 7 a 14 giorni per la risposta definitiva della Germania sul permesso di export a Kiev dei Leopard-2, come spiegano informalmente nell’inner-circle del governo Scholz. Oppure a Berlino potrebbero decidere proprio oggi, visto che i deputati dell’opposizione Cdu-Csu hanno infilato il caso-panzer in cima all’ordine del giorno dell’odierna seduta del Bundestag. Per lo Spiegel, che però non cita fonti, la decisione sarebbe invece già presa.
In ogni caso la posizione ufficiale del ministro della Difesa, Boris Pistorius, fino a ieri sera era che «sui carri armati non c’è alcuna novità, ma decideremo presto» come ha sottolineato durante l’incontro di Berlino con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.

SUL SUO TAVOLO da ventiquattro ore spicca la richiesta formale del suo omologo polacco, Mariusz Blaszczak, di poter inviare a Kiev i Leopard-2 comprati da Varsavia, confermata dal vicecancelliere Robert Habeck. «Abbiamo avviato le consultazioni all’interno del governo. Le procedure sono in corso e vengono condotte con la dovuta urgenza. Tuttavia, poiché si tratta di una fornitura militare diretta da parte dello Stato e non di una vendita fra privati, serve l’approvazione del ministero della difesa» tiene a precisare il ministro dell’economia, girando la patata bollente al collega della Spd.
Così, esattamente due giorni dopo il preannuncio a Parigi dello sblocco della licenza di esportazione da parte dell’altra co-leader dei Verdi – la ministra degli esteri, Annalena Baerbock – Pistorius è costretto ad accendere la prima luce verde sui panzer: d’ora in poi gli alleati Nato, Polonia in testa, «potranno cominciare ad addestrare gli equipaggi di carristi ucraini sui Leopard-2 attualmente in dotazione alle loro forze armate».
Era il segnale di svolta atteso dal segretario Usa della difesa, Lloyd Austin, dopo il (vero e proprio) litigio con il consigliere per la sicurezza del cancelliere Scholz al margine del summit di Ramstein. Prefigura l’inizio dello sblocco del lungo stallo che ha isolato il cancelliere Scholz nell’Alleanza atlantica quanto dentro la Coalizione Semaforo. Da una parte, Stati uniti, Regno Unito, Paesi nordici, Stati baltici e Polonia, da settimane in prima linea contro la sua preoccupazione a non allargare il conflitto («La Nato non sia parte della guerra in Ucraina» ha ribadito anche ieri Scholz); dall’altra Verdi e liberali che non perdono occasione di manifestare l’opposizione alla linea di «Olaf il Temporeggiatore» che rischia di minare l’intera strategia occidentale contro la Russia.

IN PARALLELO, dietro le quinte del caso politico-militare, si gioca la partita speculare del business dipinto di verde-oliva. Sotto il profilo strettamente degli affari, il permesso di consegnare all’Ucraina i Leopard-2 attualmente in dotazione ai Paesi della Nato per Berlino rappresenta un suicidio commerciale. Gli alleati li rimpiazzeranno acquistando gli Abrams dagli Usa – come sta già facendo la Polonia – mentre l’eventuale diffusione di immagini di Leopard-2 distrutti da armi controcarro – come quelli turchi in Kurdistan – sarebbero la peggiore pubblicità per il prodotto di punta di Krauss Maffei e Rheinmetall.

SENZA CONTARE il rischio di “retro-engineering” del Leopard-2 da parte dei russi nel caso di cattura di un esemplare intatto: lo stesso motivo per cui gli Usa non volevano inviare gli Abrams in Ucraina – e invece, stanno per decidere di farlo, la Cnn parla di un annuncio forse in settimana, proprio per sbloccare il braccio di ferro sui Leopard.
Pesa poi non poco, almeno dal punto di vista legale, come sui contratti di vendita all’estero dei carri armati della Bundeswehr sia inserita la clausola che nega il loro impiego in azioni offensive. Per questo motivo la Germania non consegnò a Erdogan gli aggiornamenti per i Leopard turchi usati per fare la guerra ai curdi. Si aggiunge alla scontata, colossale, perdita di incassi alle voci riparazione, manutenzione e upgrade tecnico dei carri made in Germany che secondo gli accordi deve essere fatta obbligatoriamente nella Repubblica federale.

INFINE IL NODO di chi pagherà, tuttaltro che secondario. A sentire il premier polacco Mateusz Morawiecki non ci sono dubbi: saranno i cittadini dell’Unione europea. Varsavia è pronta a presentare «richiesta di rimborso a Bruxelles» per la triangolazione dei 249 Leopard attualmente in dotazione al primo e secondo battaglione della 10 brigata corazzata polacca.
Al di là del tiramolla di Scholz, sono invece appena 22 Leopard-2 modello “A-4” e 29 “A-5” ex Bundeswehr (sul totale di 139 tank in condizioni per essere inviati all’estero) i mezzi attualmente parcheggiati nei magazzini di Rheinmetall in attesa del revamping. Sono gli unici mezzi sulla carta impiegabili nel Donbass prima della fine dell’inverno. Tutto il resto è ferrovecchio: una massa di Leopard-1 risalenti agli Anni Ottanta con il cannone calibro 105, impossibili da riciclare se non come artiglieria semovente.

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