Da ragazzino ostentare il manifesto che spuntava da una sacca o da una tasca del cappotto era una gran soddisfazione. Un segno d’appartenenza di cui si andava fieri, anche se si rischiava facilmente qualche scontro con fascistelli che non mancavano certo di notarlo. Questo per dire che non era bello solo leggerlo, ma sentire che quei fogli di carta vibravano.

Vibrano ancora oggi.

È incredibile, e così prezioso, che il manifesto abbia saputo attraversare tutti questi decenni senza snaturarsi, e restando costantemente un punto di riferimento per tutti coloro che sanno di essere a sinistra mentre la sinistra si sgretola e si smarrisce decennio dopo decennio.

Credo che il segreto sia la vastità dell’orizzonte che il manifesto è riuscito a non restringere mai. Ancora oggi per capire cosa succede in diverse parti del mondo è decisivo leggere questo giornale (basterebbe pensare ai Saharawi).

Questa vastità non è solo geopolitica, ma comprende anche la cultura con tutti i suoi aspetti, nessun’altra testata ha avuto una così costante e aperta attenzione a quanto di nuovo sia stato prodotto in teatro, nel cinema, in letteratura, nella musica, senza mai ghettizzarsi, senza preclusioni ideologiche, intelligenza pura che cerca il dialogo con intelligenze altre, quelle dei lettori.

Cultura come politica, senza mezzi termini, e senza etichette.

Non siamo un partito, i lettori del manifesto, siamo un insieme di persone che si riconoscono in quel vasto orizzonte. Da qui anche i punti di vista che possono divergere, e dunque la discussione, l’approfondimento, lo spirito di rivolta che non si acquieta e cerca le giuste forme per potersi ancora manifestare.

In quanti hanno cercato di copiare lo spirito dei leggendari titoli del manifesto? Non ci sono mai riusciti, perché anche quello è un segreto, ed è un segreto nascosto nella sua storia.

Una storia non rara, una storia unica.