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La Corte suprema colpisce ancora: abolita l’inclusività razziale per le ammissioni all’università

La Corte suprema colpisce ancora: abolita l’inclusività razziale per le ammissioni all’universitàManifestazione di protesta davanti alla Corte suprema che ha sancito la fine dell'affirmative action – Jose Luis Magana/Ap

Stati uniti La sentenza della supermaggioranza conservatrice contro le università della South Carolina e di Harvard. Biden: «Non possiamo lasciare che questa sia l'ultima parola».

Pubblicato più di un anno faEdizione del 30 giugno 2023

La Corte Suprema, con un voto 6 a 3, ha cancellato la cosiddetta affirmative action: le clausole d’ammissione agli atenei, in vigore da decenni, al fine di garantire l’inclusione delle minoranze nel corpo studentesco. Accogliendo il ricorso contro due università – Harvard l’ateneo della Carolina del Nord a Chapel Hill (Unc) – rispettivamente la maggiore università privata e la maggiore università pubblica degli Stati uniti, L’Alta Corte ha inferto un colpo letale a una misura il cui fine era quello di promuovere la partecipazione di studenti appartenenti a minoranze discriminate, in contesti dove sono sottorappresentate.

La regola non era mai piaciuta alla destra che la riteneva penalizzante, e questa opinione è rispecchiata nel parere scritto dal giudice capo John Roberts: «Gli studenti devono essere trattati sulla base delle loro esperienze come individui, e non sulla base della loro razza. Molte università fanno il contrario da troppo tempo. La nostra storia costituzionale non può tollerare questa scelta».
Tutti e sei i giudici conservatori della corte hanno stabilito che le politiche di “discriminazione positiva” delle due università violavano la costituzione, discriminando i candidati asiatici americani e quelli bianchi. Le tre giudici liberal, invece, si sono opposte, e nella sua opinione la giudice Ketanji Brown Jackson, prima donna afroamericana a fare parte della Corte suprema, ha definito la decisione «una vera tragedia per tutti”.
I casi di Harvard e della Unc sono stati presentati alla Corte dall’attivista di destra Edward Blum, uno stratega legale noto per mettere in contatto potenziali querelanti con avvocati disposti a rappresentarli pro bono in “casi test”, utili a stabilire precedenti legali, spingendo così i temi che ritiene importanti nella scalata verso la Corte suprema.
Dagli anni ’90 la lotta contro l’azione affermativa è sempre stata la missione principale di Blum, che è il direttore, e l’unico membro, del Project for Fair Representation, organizzazione che ha fondato nel 2005 per promuovere una società più giusta per i bianchi.  Secondo il suo sito web, il progetto si concentra specificamente sul diritto di voto, istruzione, contratti, occupazione, quote razziali e riparazioni razziali, i risarcimenti per gli afroamericani eredi di vittime dello schiavismo.
Blum e la sua associazione hanno sostenuto che i criteri di selezione favoriscono gli studenti di colore, latinoamericani e nativi americani, discriminando gli studenti bianchi e asiatici. Per questa Corte Suprema dominata da giudici ultra conservatori scelti da Trump, il filo logico di Blum non fa una piega, nemmeno per il giudice afroamericano Clarence Thomas, che negli anni ’70 è stato ammesso alla Yale Law School proprio grazie al programma di affirmative action, di cui ora è un ardente oppositore, tanto da paragonarla, nonostante il cortocircuito logico, alla schiavitù e alla segregazione.
La decisione della Corte Suprema è stata subito commentata dalle università chiamate in causa: l’Unc ha sottolineato la propria delusione, ribadito il proprio impegno per la diversità nel suo corpo studentesco e a «a riunire studenti di talento con diverse prospettive ed esperienze di vita, e a rendere l’istruzione accessibile».  Harvard sottolinea invece di voler «riaffermare il principio fondamentale secondo cui l’insegnamento, l’apprendimento e la ricerca, profondi e trasformativi, dipendono da una comunità composta da persone con diversi background, prospettive ed esperienze vissute. Questo principio è vero e importante oggi come lo era ieri».
Tutti i candidati alle primarie repubblicane  si sono affrettati ad applaudire la decisione dei Supremes, in una gara di entusiasmo, da Trump a DeSantis, mentre il resto del Gop inondava Twitter di messaggi che definivano la sentenza «una vittoria per l’equità».
Toni ben diversi si sono alzati dalle file democratiche. Il leader della maggioranza al Senato Chuck Schumer ha definito la sentenza un «gigantesco ostacolo nella marcia del nostro paese verso la giustizia razziale e pari opportunità educative”. L’ex first lady Michelle Obama ha scritto della propria esperienza come una delle poche studenti nere del suo campus e ha aggiunto: «Mi si spezza il cuore per quei giovani che ora si chiedono che tipo di possibilità saranno aperte a loro».
Anche il presidente Joe Biden é intervenuto dalla Casa bianca, e non ha usato mezze misure: «Sono fortemente, fortemente in disaccordo con la decisione della Corte. Non possiamo lasciare che questa sia l’ultima parola. La Corte non può cambiare ciò che l’America rappresenta. L’America è un’idea unica al mondo, un’idea di speranza e di opportunità, di dare a tutti una giusta possibilità. I college dovrebbero tenere conto di questioni come i mezzi finanziari degli studenti, se uno studente è il primo della famiglia a frequentare il college, dove è cresciuto e le difficoltà che ha dovuto affrontare, inclusa la discriminazione razziale. La verità è che, lo sappiamo tutti, la discriminazione esiste ancora in America. Se uno studente supera le avversità nel percorso verso l’istruzione, i college dovrebbero riconoscerlo e apprezzarlo».
Biden ha annunciato di aver incaricato il dipartimento dell’Istruzione di trovare il modo migliore per costruire corpi studenteschi inclusivi e diversificati, alla luce della sentenza della Corte. Rispondendo a un giornalista che gli chiedeva un giudizio sull’operato dei giudici Biden ha risposto: «Questo non è un tribunale normale».

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