La Corte e l’obbligo vaccinale. Cosa può cambiare e cosa no
Davanti ai giudici costituzionali le ordinanze che dubitano della razionalità delle sanzioni. Difficile che muti la linea del rigore. Osservata speciale la proporzionalità della sospensione
Davanti ai giudici costituzionali le ordinanze che dubitano della razionalità delle sanzioni. Difficile che muti la linea del rigore. Osservata speciale la proporzionalità della sospensione
È la decisione più attesa. I nemici del vaccino anti Covid e del green pass l’aspettano al varco. Ieri il quotidiano La Verità, sotto la testata, annunciava: «Domani il giorno della verità alla Consulta». Domani, cioè oggi, i quindici giudici della Corte costituzionale terranno un’udienza pubblica con all’ordine del giorno ben otto cause, questioni di costituzionalità che riguardano tutte l’obbligo vaccinale imposto a chi esercita le professioni sanitarie e ad altre categorie di dipendenti pubblici.
C’È MOLTA ATTESA anche nella comunità dei giuristi. Dalla Corte filtra solo la notizia che i giudici hanno approfondito le questioni con particolare cura assieme ai loro assistenti. Le cause sono affidate a tre relatori differenti, a riprova dell’ampio coinvolgimento del collegio, i giudici Barbera, costituzionalista, Petitti, giudice di Cassazione e uno dei maggiori esperti della giurisprudenza costituzionale e Patroni Griffi, ex presidente del Consiglio di Stato. Del collegio da due mesi fa parte anche il giudice Marco D’Alberti, amministrativista, recente nomina del presidente della Repubblica: ieri ancora La Verità lo ha accusato di essere in conflitto di interessi perché è arrivato al palazzo della Consulta direttamente da palazzo Chigi, dove era consigliere giuridico di Draghi, il presidente del Consiglio che ha firmato i decreti della cui costituzionalità si discute oggi.
LE OTTO CAUSE possono essere divise in tre gruppi. Nel primo ci sono cinque ordinanze di rimessione alla Corte firmate dalla stessa giudice ordinaria, la presidente della sezione lavoro del tribunale di Brescia Mariarosa Pipponzi. Riguardano dipendenti della scuola e, in cause individuali o collettive, dipendenti dell’Azienda sanitaria locale o di altre istituzioni sanitarie. Il tribunale ha ritenuto non manifestamente infondato il sospetto di incostituzionalità dei decreti Draghi nella parte in cui non prevedono (più) la possibilità di adibire i dipendenti non in regola con il ciclo vaccinale obbligatorio a mansioni diverse da quelle che comportano il contatto con il pubblico, come alternativa alla sospensione dal lavoro. Sospensione che oltre alla mancata retribuzione comporta anche la mancata erogazione dell’assegno alimentare (una frazione dello stipendio che in altri casi ai lavoratori pubblici è comunque garantita). Anche questa, grave, penalizzazione accessoria è adesso rimessa alla Corte.
LE ORDINANZE che arrivano dal Tar della Lombardia e dalla sezione lavoro del tribunale di Padova costituiscono una seconda categoria. Si tratta di due persone, la prima una psicologa libera professionista e il secondo un portiere dell’opera di Sant’Antonio di Padova (istituto che si occupa di assistenza ai disabili) che hanno potuto continuare a svolgere il loro lavoro anche dopo il decreto dell’aprile 2021 che ha lasciato aperto uno spiraglio per i sanitari non in regola con il ciclo vaccinale, purché non a contatto con i pazienti. In particolare la psicologa ha lavorato online, fino a quando nel novembre 2021 un nuovo decreto non ha previsto la sospensione dall’albo per i professionisti senza green pass. Il Tar lombardo ha rimesso alla Consulta perché valuti la ragionevolezza e la proporzionalità della misura prevista nel nuovo articolo 4 comma 4 del decreto legge originario (44/2021) modificato dal decreto di novembre (172/2021) «nella parte in cui non limita, così come previsto nella disciplina previgente, la sospensione dall’esercizio o dall’attività professionale alle prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano il rischio di diffusione del contagio». Solo l’ordinanza di Padova aggiunge considerazioni sull’inefficacia del green pass a prevenire la diffusione del contagio e dunque solleva un altro dubbio di costituzionalità sul fatto che la legge abbia imposto il green pass e non il più efficace test a tampone.
IN UNA TERZA CATEGORIA va messo invece il ricorso che arriva dal Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia. Si basa sulla convinzione che gli effetti collaterali del vaccino siano più diffusi e più gravi di quanto venga riconosciuto dalle autorità sanitarie. E che dunque non si possano ritenere soddisfatte le condizioni che la stessa Corte costituzionale ha messo a presupposto dell’obbligo vaccinale: che il vaccino non comporti effetti negativi per le generalità dei soggetti e che le conseguenze sfortunate siano «normali e pertanto tollerabili». Salvo il diritto all’indennizzo di chi dovesse subire un danno per adempiere all’obbligo. L’organo di giustizia amministrativa siciliana ha addirittura predisposto a un’istruttoria ad hoc sui dati (guidata dal segretario generale del ministero della salute), la quale confermerebbe gli effetti collaterali oltre all’inefficacia del vaccino nel prevenire i contagi. Non è per questo dunque, si legge nell’ordinanza, che si può considerare rispettato il principio dell’utilità collettiva dell’obbligo vaccinale, ma per il fatto che la vaccinazione «risulta efficace nel contenere decessi e ospedalizzazioni» e dunque ad «allentare la pressione sul sistema sanitario». Argomento sul quale ha sollevato l’attenzione Carlo Iannello: rischia di aprire la strada ai più diversi obblighi di trattamento al solo scopo di non intasare gli ospedali (persino in alternativa agli investimenti pubblici necessari a garantire la generalità e la qualità del servizio sanitario).
Pochi se la sentono di prevedere che la Corte possa mutare il suo indirizzo che ha riconosciuto la legittimità dell’obbligo vaccinale nel rispetto dell’articolo 32, quindi dei requisiti del duplice beneficio: per il singolo e per la generalità dei cittadini. Naturalmente la discrezionalità del legislatore deve esercitarsi nel rispetto del sapere medico prevalente e rispettando i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Proprio in nome di questi criteri non è da escludere che, salvaguardando il principio generale, la Corte possa aprire qualche spiraglio. Sono ormai molti in tutta Italia i casi di lavoratori a distanza, non vaccinati ma autorizzati dai Tar ad andare avanti nelle loro mansioni in attesa della decisione dei giudici costituzionali. Le motivazioni saranno probabilmente anticipate da un comunicato stampa sull’esito della camera di consiglio che comincerà subito dopo l’udienza, ma potrebbe durare anche oltre la giornata di oggi.
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