In una corsa a chi fa prima ad ammantarsi del titolo di più antiabortista d’America dopo la pubblicazione della sentenza della Corte suprema che mette fine al diritto costituzionale all’Ivg, il Missouri con il suo procuratore generale Eric Schmitt è il primo a mettere agli atti non più una restrizione draconiana come le migliaia approvate dagli anni Novanta, ma un divieto vero e proprio ad abortire. «Il Missouri – recita un tweet di ieri sul profilo di Schmitt, illustrato da una foto del procuratore che con le maniche rimboccate, molto compreso nel suo ruolo, firma un documento – è appena diventato il primo stato del Paese a terminare effettivamente l’aborto, con l’opinione del nostro procuratore generale firmata pochi minuti fa».
Un altro procuratore generale, reso “celebre” dall’infame legge texana che bandiva l’aborto dopo sei settimane, Ken Paxton, dichiarava ieri di aver chiuso i suoi uffici per festeggiare, e che da ora in poi per l’agenzia da lui diretta il 24 di giugno sarà un giorno festivo. Per celebrare la decisione della Corte suprema e «commemorare» i bambini mai nati: «I quasi settanta milioni di bambini uccisi nel grembo materno» dal 1973, l’anno di Roe v.Wade, dice Paxton. Li “ricorda” anche il suo collega del Missouri in un video autocelebrativo, sempre su Twitter, dove dettaglia il lungo e certosino lavoro occorso per raggiungere lo storico risultato di sopprimere un diritto fondamentale delle donne.

La legge difesa da Paxton alla Corte suprema lo scorso novembre – la SB8 scritta ad hoc per rendere inattaccabile in tribunale il divieto all’aborto dopo l’inizio del battito cardiaco fetale – è ormai obsoleta: il Texas è uno dei 13 stati Usa ad avere le cosiddette trigger laws, leggi “grilletto” pensate proprio per entrare in vigore immediatamente nell’eventualità di una sentenza come quella di ieri, alla quale la compagine antiabortista statunitense lavora ormai da 50 anni. A fare compagnia al Texas stati come l’Arkansas – dove la legge locale proibisce ogni aborto tranne che in caso di pericolo di vita per la madre, e minaccia con 10 anni di prigione chiunque esegua un’Ivg o anche solo ci provi – Idaho, Louisiana, Alabama, Tennessee, Kentucky, Oklahoma. In quasi tutti i casi senza prevedere eccezioni per vittime di stupro o incesto. Quattro sono già entrati in vigore.
Altri stati, come il West Virginia del senatore democratico Joe Manchin – che oggi attacca l’annullamento di Roe e Casey ma che aveva votato con i repubblicani per mantenere il filibuster in Senato quando i dem hanno tentato di codificare legislativamente il diritto all’aborto – hanno statuti antecedenti a Roe che vietano l’Ivg. E che con la caduta della “diga”che li arginava aspettano solo di tornare legge dello stato.

Le attiviste e gli attivisti impegnati nella tutela dei diritti riproduttivi delle donne, che ieri hanno manifestato a centinaia davanti alla Corte suprema e in decine di città Usa, puntano infatti ora a una diversa strategia: non più nei tribunali ma nelle aule del Congresso. «A maggio Naral Pro-Choice America, Planned Parenthood Action Fund, e Emily’s List hanno annunciato una partnership – scrivono le associazioni in un comunicato – per investire collettivamente la cifra storica di 150 milioni di dollari nel midterm del 2022, per assicurarsi l’elezione di sostenitori della libertà riproduttiva».
La presidente di Naral Mini Timmaraju ha inoltre condannato la sentenza della Corte che «dà il via libera a legislatori estremisti, che non perderanno tempo a entrare in azione» per abolire del tutto l’aborto. «E non si fermeranno qui: il movimento anti-scelta e i suoi alleati politici hanno già dichiarato di voler implementare un divieto di abortire in tutta la Nazione».