Nella COP più affollata di sempre (100 mila partecipanti, più del doppio di quella dell’anno scorso) non ci sono mai stati così tanti lobbisti dell’industria petrolifera che, secondo una rete di organizzazioni ambientaliste, sono 2.400, più di quasi tutte le delegazioni nazionali. Un segnale esplicito della resistenza di un sistema economico e produttivo che è oggi sotto attacco e vuol far sentire la propria voce. Non si tratta ora di discutere se lo stesso Al Jaber, chairman della COP28 e capo di una delle compagnie petrolifere più grande al mondo, sia o non sia un negazionista del clima, ma di prendere atto del dispiegamento di forze per difendere uno status quo che sostanzialmente significa rallentare lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia. Così infatti si deve leggere la spinta sul nucleare emersa con forza a Dubai, ben sapendo che nucleare e rinnovabili non si integrano facilmente in un mix energetico. L’energia nucleare prevede un sistema di produzione e distribuzione dell’energia centralizzato, proprio come gli idrocarburi, mentre le rinnovabili hanno bisogno di un sistema più flessibile, basato più su reti intelligenti e capacità di stoccaggio, un sistema molto meno adatto a creare profitti nel settore energetico. Finalmente allo scoperto: le conferenze sul clima sono un processo fondato su regole democratiche anche se rivolto soprattutto a Paesi che quelle regole democratiche non le hanno.

QUESTA COP28 AVEVA UN OBIETTIVO: definire una roadmap per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, nonostante la scelta della località Dubai e del chairman della conferenza. Aziende petrolifere che continuano a ricevere incentivi sempre più cospicui dell’ordine dei trilioni di dollari, che accumulano extraprofitti esagerati, che progettano esplorazioni sempre più invasive, difficilmente avrebbero dato un contributo positivo. Infatti, le prime azioni non hanno che confermato questa sensazione: l’adozione di un nuovo fondo per perdite e danni (loss and damages) per assistere i paesi meno sviluppati nelle catastrofi climatiche, richiesto da decenni, lascia una maggiore libertà nell’utilizzo nel tempo dei combustibili fossili, ed è poca cosa visto che non supera i 500 milioni di euro, quando per mitigare effettivamente i danni climatici servirebbero 500 miliardi ogni anno. Inoltre, gli stessi Emirati Arabi Uniti hanno rifiutato di impegnarsi a eliminare i combustibili fossili entro una certa data, dichiarando di essere per una «riduzione graduale», e non per una «eliminazione graduale».

Le delegazioni hanno cominciato una discussione infinita sul fatto che le restrizioni si devono applicare solo ai combustibili fossili non abbattuti, che significa continuare su petrolio e gas con investimenti nella tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). Una CCS che la stessa IEA nel suo Wold Energy Outlook 2023 critica in termini di costi e di maturità tecnologica. In sintesi, la COP 28 non porrà nessun limite nel termine dell’utilizzo dei combustibili fossili, con buona pace di Guterres che afferma: «Non possiamo salvare un pianeta in fiamme con un idrante di combustibili fossili». E, ovviamente, in questa COP non verrà posta la questione della eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili, stimati oggi in circa 7 trilioni di dollari all’anno, più del doppio dei ricavi medi generati.

EPPURE LE IMPRESE OIL&GAS potrebbero fare molto in termini di contributo alla decarbonizzazione, e l’idea di discutere a Dubai del loro impegno non era teoricamente sbagliata. Le economie produttrici di oggi potrebbero mantenere un ruolo in relazione alle loro competenze e alle loro ampie risorse se utilizzate nella catena del valore dell’energia pulita e nelle industrie a basse emissioni. Nel recente rapporto The Oil and Gas Industry in Net Zero Transitions, la IEA esplora ciò che le compagnie petrolifere e del gas possono fare per accelerare la transizione verso l’azzeramento delle emissioni nette.

Innanzitutto investire nel green: i produttori di petrolio e gas rappresentano solo l’1% del totale degli investimenti in energia pulita a livello globale e l’industria fossile ha investito veramente poco in energia pulita nel 2022, circa il 2,5% della sua spesa totale in conto capitale. Poi, occuparsi seriamente ed urgentemente dei tagli dei loro consumi: solo la produzione, il trasporto e la lavorazione di petrolio e gas sono responsabili del 15% delle emissioni globali di gas serra legate all’energia, e queste emissioni sono le prime che devono essere ridotte di oltre il 60% entro il 2030 rispetto ai livelli attuali ed essere annullate entro il 2040, indipendentemente dallo scenario futuro.

Inoltre, in un sistema energetico a zero emissioni nette nel 2050 sarà previsto l’utilizzo di combustibili e tecnologie a basse emissioni che potrebbero beneficiare delle competenze e delle risorse dell’industria petrolifera e del gas, così come le competenze e le infrastrutture del settore, comprese le reti di vendita al dettaglio e le raffinerie esistenti, che offrono vantaggi in settori come la ricarica dei veicoli elettrici e il riciclaggio della plastica. Ma le aziende che hanno annunciato l’obiettivo di diversificare le loro attività verso l’energia pulita rappresentano poco meno di un quinto dell’attuale industria di petrolio e gas. Il dialogo tra tutte le parti della catena del valore del petrolio e del gas rimane essenziale per realizzare un passaggio ordinato dai combustibili fossili alle rinnovabili e per garantire che i produttori di oggi abbiano un interesse significativo nell’economia dell’energia pulita.

LA COP28 POTRÀ ALLA FINE anche aumentare gli investimenti nelle rinnovabili e dei finanziamenti climatici, ma se non prevederà anche date precise per l’abbandono dei combustibili fossili significherà che non avremo ancora preso la direzione di un vero cambiamento.