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La circolazione del virus si stabilizza, su livelli elevati

La circolazione del virus si stabilizza, su livelli elevatiL’hub per le vaccinazioni pediatriche a Ostiense – LaPresse

Covid Molte regioni fanno fatica con il tracciamento, appena il 14% del totale dei casi. La nuova variante non sembra peggiore delle precedenti, ma il numero di morti non scende. Il governo raccomanda la quarta dose per gli anziani e i più fragili

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 9 aprile 2022

Eccola, la tanto attesa convivenza con il virus. Gli esperti speravano che la cosiddetta «endemizzazione» del virus avvenisse su livelli di contagio più bassi. Invece, secondo l’ultimo monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità, l’incidenza settimanale in una settimana è scesa a 770 casi per centomila abitanti, non molto al di sotto agli 806 di sette giorni fa. E anche l’indice Rt, sceso a 1,15 ma vicinissimo a 1 se misurato sulla base dei ricoveri e non dei semplici sintomi, indica che il contagio si va stabilizzando a livelli molto elevati per il nostro fragile servizio sanitario. Per non parlare del numero dei decessi, che da un mese non scende sotto i 140-150 morti al giorno. «L’attuale situazione caratterizzata da elevata incidenza – scrive il rapporto Iss di ieri – non consente una puntuale mappatura dei contatti dei casi, come evidenziato dalla bassa percentuale dei casi rilevati attraverso l’attività di tracciamento», appena il 14% del totale dei casi.

A DISPETTO DELLA CLIMA piuttosto rilassato che si respira, «undici Regioni e Province Autonome riportano almeno una singola allerta di resilienza», e due regioni ne segnalano «molteplici», segnala il report. Nel gergo dell’Iss, le «allerte di resilienza» sono i segnali che la medicina territoriale non tiene il passo del virus. In particolare, preoccupa la capacità delle regioni di effettuare il tracciamento dei contatti, che avviene in meno del 30% dei casi in Emilia-Romagna e Alto Adige. La conseguenza è che a fare i tamponi si presentano soprattutto persone sintomatiche e questo fa schizzare il tasso di positività al 60% in Toscana e vicino al 40% in Marche e Puglia.

AL MOMENTO, SI TRATTA di un problema gestibile. Anche se si registrano in media oltre 60 mila casi giornalieri, a livello nazionale il numero di ricoverati in terapia intensiva non ha superato le 500 unità e ieri è sceso a quota 462. Secondo il monitoraggio, equivale al 4,7% dei posti disponibili, prendendo per buona la stima – molto ottimistica – di quasi diecimila posti letto di rianimazione dichiarati dalle regioni. Anche il numero di ricoverati in area medica non preoccupa più di tanto, visto che la mini-ondata generata da Omicron 2 sembra aver già toccato il picco senza superare il 15% di tasso di occupazione degli ospedali.

È merito in gran parte dei vaccini, che hanno una blanda capacità di frenare il contagio ma impediscono in molti casi di finire in ospedale, almeno con le varianti note fin qui. Compresa la nuova «Xe» e rilevata nel Regno Unito per la prima volta a gennaio. Il nuovo ceppo ha un tasso di contagiosità di poco superiore alle Omicron 1 e Omicron 2. Secondo i virologi inglesi, si tratta proprio di un «incrocio» di queste due varianti: un virus nato dalla ricombinazione del codice genetico dei due ceppi in un individuo contagiato contemporaneamente da entrambi, di qui la “X” del nome. Da allora, gli inglesi ne avrebbero rilevato oltre seicento casi, il che suggerisce una trasmissibilità superiore del 10% a quella di Omicron 2. Nelle scorse settimane, la variante è stata rilevata in molti altri Paesi, dalla Cina all’Europa. «Ci sono diversi motivi per non preoccuparsi particolarmente di Xe» rassicura il genetista dell’università di Trieste Marco Gerdol in una lunga disamina della nuova variante. «In primo luogo non si può escludere che un vantaggio competitivo così esiguo possa essere soltanto apparente» e «ad oggi non c’è alcuna evidenza che Xe sia destinata a diventare dominante nei prossimi mesi». Inoltre, rispetto a Omicron, «nulla cambia per quanto riguarda l’efficacia delle vaccinazioni e delle infezioni pregresse nel proteggere da Covid-19 in forma grave».

I CONTAGI PERÒ PROLIFERANO, e raggiungendo anche quella fascia di persone fragili per le quali anche la semplice infezione può comportare un rischio grave fino al decesso. Mentre tra i più giovani il contagio rallenta, «le fasce più anziane hanno una circolazione più limitata, ma ancora leggermente in crescita» sottolinea il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro. Perciò si torna a spingere sui vaccini. Con una circolare che fa seguito al parere delle agenzie del farmaco europea (Ema) e italiana (Aifa), ieri il ministero della salute ha raccomandato una nuova vaccinazione per chi ha più di 80 anni, per gli ospiti delle Rsa, in chi soffre di patologie gravi. In persone con un sistema immunitario indebolito, per esempio a causa di un trapianto, la quarta dose era già prevista. Come in passato, i dati a supporto della quarta dose arrivano da Israele, dove le campagne di vaccinazione sono più avanzate: negli ultrasessantenni la quarta dose avrebbe ridotto quasi dell’80% il rischio di morte per Covid rispetto alla terza dose, anche se il rischio assoluto è rimasto molto basso per entrambe le categorie: nei 40 giorni monitorati dallo studio, i decessi registrati tra tutti i 563 mila partecipanti (con tre o quattro dosi) sono stati 324.

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