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La chiusura degli Opg è costituzionale

Fuoriluogo La rubrica settimanale a cura di Fuoriluogo

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 8 febbraio 2017

Ogni tanto succede, ed è bello poter dare qualche buona notizia.

La Legge 81 del 2014, che ha disposto ciò che già dal 2008 era previsto – la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari – ha superato nei giorni scorsi un altro attacco, dopo quello portato, poco dopo la sua entrata in vigore, ad opera del Tribunale di Sorveglianza di Messina.

Con sentenza n.22/2017, depositata il 26 gennaio scorso, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile un’altra questione di legittimità costituzionale, questa volta sollevata dal Gip di Napoli, che aveva ritenuto in contrasto con la Costituzione la disposizione che àncora la durata della misura di sicurezza alla pena massima prevista per il reato commesso.

Censurando per vari motivi le argomentazioni del Giudice a quo, la Corte ribadisce comunque che “la norma impugnata è diretta ad evitare i cosiddetti ergastoli bianchi, cui può dar luogo la permanenza a tempo indeterminato in strutture detentive per l’esecuzione di misure di sicurezza, e pone così fine a situazioni in cui per l’infermità mentale, anche nel caso di commissione di reati di modesta gravità, persone senza supporti familiari o sociali rimanevano perennemente private della loro libertà in un contesto di natura penale”. Parole chiare.

La seconda buona notizia è data dal fatto che proprio ieri ha chiuso, finalmente, anche l’Opg di Montelupo; resta dunque aperta ormai la sola struttura siciliana di Barcellona Pozzo di Gotto, ultimo baluardo estremo per la custodia dei folli rei. Sono solo tredici internati, ma sono persone che subiscono una detenzione illegale intollerabile e che si protrae per colpevole distrazione delle istituzioni.

Proprio a Barcellona, non a caso, nei prossimi giorni si recherà una delegazione di StopOpg, per sostenere l’operazione di chiusura, mentre il Tribunale messinese aveva contestato la ncessità ed urgenza (!) di introdurre modifiche strutturali di istituti secolari come la pericolosità sociale, indirettamente stravolti dall’intervento riformatore».

Ancora. Il 27 e 28 gennaio scorsi centinaia di persone (amministratori, politici, medici, associazioni, giuristi) hanno preso parte a Trieste, provenendo da tutta Italia, ad un confronto su quanto realmente necessario per il definitivo superamento della logica custodiale in materia di salute mentale, e per la sua trasformazione in autentica inclusione sociale.

Infine (ed è un’altra buona notizia): con ordinanza del 2 maggio 2016 il Magistrato di Sorveglianza di Padova ha sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione penitenziaria che impedisce agli internati di proporre richiesta risarcitoria per la violazione dell’art.3 Cedu e per la conseguente riduzione della misura di sicurezza.

Non è possibile elencare in questa sede tutto il cammino fatto, e quanto c’è ancora da fare.

Dovendo indicare i maggiori resistenti alla riforma, non ci sarebbero dubbi; come già segnalato, una parte della magistratura (anche di legittimità), restia a liberarsi di istanze securitarie e/o paternalistiche, tuttora dispone misure di sicurezza (a centinaia si contano quelle provvisorie non ancora eseguite), in spregio allo spirito della Legge, che eleva a obiettivo la residualità della detenzione.

Per mettere davvero in sicurezza una straordinaria riforma è indispensabile la collaborazione di tutti; la formazione di una vera e nuova cultura forense in materia, troppo spesso appannaggio di pochi esperti del settore tra gli avvocati; l’abbandono di ogni forma di giurisprudenza e di medicina difensiva, e un’adeguata informazione dell’opinione pubblica, il cui consenso e sostegno è indispensabile perché si colga il cammino di civiltà sino ad oggi percorso.

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