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La Cassazione: «Vecchio e malato, Riina non può stare in carcere»

La Cassazione: «Vecchio e malato, Riina non può stare in carcere»

Rispetto dei diritti umani Ogni cittadino italiano deve oggi sentirsi più forte nel sapere di appartenere a uno Stato che non ha paura di difendere la dignità anche del più criminale dei criminali

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 6 giugno 2017

La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha rigettato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna che lo scorso anno aveva negato a Totò Riina il differimento della pena – o in subordine la detenzione domiciliare – per motivi di salute, spingendolo a tornare a esaminare nuovamente la richiesta. Riina, che ha compiuto l’ottantaseiesimo anno di età, è affetto da più di una grave patologia. I giudici di Sorveglianza avevano valutato che il monitoraggio costante da parte dei medici operanti in carcere, unito alla possibilità per l’uomo di venire ricoverato in una struttura esterna al momento del bisogno, fossero sufficienti a garantire una compatibilità tra le condizioni di salute di Riina e la sua detenzione.

Oggi la Cassazione afferma che ciò costituisce solo una parte della storia. Totò Riina, come qualunque essere umano, possiede un corpo, che deve essere salvaguardato nel proprio diritto fondamentale alla salute e alle cure. La valutazione del Tribunale è magari adeguata rispetto alla mera tutela biologica di questo corpo fisico. Ma, ancora come ogni essere umano, Totò Riina – questo sta dicendo la Corte suprema – possiede anche una dignità. E, come a chiunque altro, deve essergli garantito il diritto a morire in una maniera che di tale dignità sia rispettosa.

L’innegabile spessore criminale avuto dal capo di Cosa Nostra, scrive ancora la Cassazione, non è tuttavia provato per quanto concerne l’attualità della sua situazione. Visto lo stato di salute e l’età avanzata di Riina, è quanto meno da dimostrare che egli abbia ancora un’influenza e una possibilità di comando nell’organizzazione di appartenenza. Ma, se pure il Tribunale fosse in grado di fornire una tale dimostrazione, resta comunque quel principio universale che la Cassazione decide oggi di affermare in relazione a una delle figure criminali più pesanti dell’intera storia italiana del dopoguerra e del nostro immaginario collettivo: chiunque ha diritto a vedere rispettata la propria dignità, nella morte quanto nella vita. La pena carceraria scontata da Riina nelle sue attuali condizioni di salute, si legge ancora nella sentenza della Cassazione, rischia di andare oltre la «legittima esecuzione di una pena».

Ogni cittadino italiano deve oggi sentirsi più forte nel sapere di appartenere a uno Stato che non ha paura di difendere la dignità anche del più criminale dei criminali. Ciò deve valere per Riina, e deve anche valere per tutti quei detenuti ignoti che a volte sono lasciati morire in galera in stato di abbandono terapeutico.

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