Economia

La campagna del Pd è anti-Monti: l’austerity la costruì tutta da solo

La campagna del Pd è anti-Monti: l’austerity la costruì tutta da soloI due ex presidenti del consiglio Matteo Renzi e Mario Monti

Lo scontro Per l'ex premier bocconiano il deficit al 2,9% è «insensato». Il segretario dem ribatte: debito giù solo se si cresce

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 16 luglio 2017

Gli ultimi dati diffusi da Bankitalia – la rosea previsione di un Pil all’1,4% per quest’anno – hanno rimesso il turbo a Matteo Renzi: il segretario del Pd ha pubblicato un post su Facebook in cui è sostanzialmente passato all’incasso, attribuendo a sé stesso i meriti: «Se tutti i giornali oggi scrivono che i dati economici sono migliori delle (loro) previsioni è perché la strategia di crescita e di riforme che abbiamo fatto durante i #MilleGiorni sta dando i primi frutti», dice l’ex premier.

Subito dopo, quindi, Renzi rilancia la sua idea di mantenere fisso il deficit al 2,9% per cinque anni, così da avere margini più ampi per gli investimenti e per un taglio delle tasse: «La proposta di tornare a Maastricht che ho illustrato in Avanti (il suo libro appena uscito, ndr) e su cui discuteremo nei prossimi mesi è fondamentale per creare benessere e posti di lavoro nei prossimi anni. I dati dicono che le scelte su tasse e lavoro hanno rimesso in moto l’Italia: adesso si tratta di farla correre. E mi sembra evidente: servono strategie pro crescita, non austerity».

UN’INSISTENZA, quella sull’austerity, motivata da una intervista pubblicata dal Corriere della sera a Mario Monti: l’ex presidente del consiglio bocconiano aveva attaccato pesantemente l’idea del deficit al 2,9%, non risparmiando frecciate dirette allo stesso Renzi. Il deficit al 2.9% è «insensato» secondo Monti, mentre il segretario del Pd è «come un disco rotto», che «ormai ripete senza fine i suoi slogan e le sue accuse».

La proposta di deficit al 2,9% – spiega Monti – «confido che non venga fatta propria dal governo. Appartiene al genere delle improvvisazioni in cui l’annuncio precede la riflessione, come fu la strategia fiscale del governo Renzi, annunciata a un’assemblea Pd a Milano senza che neanche il ministro dell’Economia – scommetto, e spero per lui – ne sapesse nulla». Ecco un’alternativa: «Bisogna far evolvere il patto di Stabilità introducendo uno spazio legittimo per veri investimenti pubblici. Una volta fatto questo si può puntare verso il pareggio», suggerisce Monti. E insiste: «Creare uno spazio indiscriminato del 2,9%, dichiaratamente per ridurre le tasse in disavanzo mi sembra una recidiva senza senso».

RENZI PER RISPONDERE al suo predecessore a Palazzo Chigi taglia corto: «Sia detto con molto rispetto per Mario Monti che oggi ha fatto una intervista per attaccare le tesi di Avanti – replica – la cultura dell’austerity ha visto aumentare il numero di famiglie in povertà, un Pil negativo e crescere le disuguaglianze. E paradossalmente in quegli anni il rapporto debito-Pil è peggiorato perché senza crescita il debito sale, sempre». Una polemica che fa gioco al segretario del Pd per potere accreditare la sua linea critica nei confronti della Ue, utile per non lasciare il tema solo all’opposizione.

Nelle polemiche sugli anni di Mario Monti, funzionali chiaramente all’attuale campagna elettorale, si inserisce anche l’ex ministro dell’Economia dei governi di Berlusconi, Giulio Tremonti: e lo fa in un intervento ospitato sul Blog delle stelle e rilanciato sui social anche da Beppe Grillo. Il Fiscal compact – in questi giorni di nuovo al centro delle cronache – nell’interpretazione di Tremonti è tutto da attribuire all’allora governo dei «tecnici» (che però, va ricordato, era sostenuto da una maggioranza di larghe intese) e comunque alla forte pressione internazionale che gravava sull’Italia.

MA I RENZIANI non mollano. «Il tempo è dalla nostra parte e dimostra che avevamo ragione», sostiene la sottosegretaria Maria Elena Boschi. Maurizio Martina, ministro e vicesegretario Pd, aggiunge: «Il tema posto da Renzi merita un confronto vero e meno strumentale». Eppure, vista la straordinaria capacità del segretario di sapersi isolare, perplessità emergono anche tra le fila dem.

La scelta di Renzi di scrivere un libro tutto all’attacco e di riaprire conti con il passato già chiusi a pochi mesi dalle elezioni, tiene ben accesi i timori sul futuro del Pd e su nuovi addii. Cresce così il fronte di chi invoca alleanze, e se Matteo Orfini insiste su «un grande Pd», il renziano Stefano Bonaccini chiede di aprirsi a «un campo di sinistra di governo, a forze moderate e civismo».

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