A tempo di record, l’aula di Montecitorio dà il via libera alla «riforma» della Rai, che ora dovrà tornare a palazzo Madama per l’ok definitivo. Con 259 sì, 143 no 143 e 4 astensioni, si avvicina il momento in cui il nuovo direttore generale di viale Mazzini, Antonio Campo Dall’orto, potrà già ottenere i «superpoteri» che la legge ancora non definitivamente approvata assegna alla nuova figura dell’amministratore delegato. Non avendo fatto in tempo a rinnovare il cda con la sua nuova legge, come Renzi puntava a fare al momento del varo del ddl in consiglio dei ministri, nel marzo scorso, il premier intende almeno rafforzare in fretta il «suo» dg. Che solo poi dovrebbe affrontare il capitolo nomine. Obiettivo, il sì definitivo del senato per metà novembre. Nel quinto e ultimo articolo del provvedimento le disposizioni transitorie che attribuiscono al dg (che mantiene anche le attuali competenze) i poteri dell’ad dal momento dell’entrata in vigore della legge.

Il sottosegretario Antonello Giacomelli si dice soddisfatto, perché «questa riforma chiarisce le responsabilità dei diversi soggetti in campo e accentua la dimensione aziendale della Rai, eliminando una commistione impropria fra gestione dell’azienda e politica: questo era il nostro obiettivo». Dichiarazioni che molto hanno a che fare con la propaganda, molto poco con quello che si prospetta, visto che l’ad è indicato dal governo, e poi nominato dal cda nel quale il partito di maggioranza (che avrà anche il super premio dell’Italicum) avrà un peso davvero notevole. Il cda sarà composto da 7 membri (non più 9 come nella Gasparri) 4 eletti da camera e senato, 2 nominati sempre dal governo e uno designato dall’assemblea dei dipendenti. Un emendamento di Forza Italia presentato al senato ha introdotta la figura del «presidente di garanzia» che, scelto dal cda al suo interno, dovrà ottenere, come nella Gasparri, il via libera dai due terzi della commissione parlamentare di vigilanza.

L’amministratore delegato potrà nominare i dirigenti. Per le nomine editoriali deve avere il parere del cda (vincolante nel caso dei direttori di testata, ma solo se fornito a maggioranza dei due terzi). L’ad, inoltre, grazie a un emendamento approvato alla camera, tra le proteste delle opposizioni, assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione anche dei giornalisti, su proposta dei direttori di testata; può firmare contratti fino a 10 milioni e ha massima autonomia sulla gestione economica.

Il governo avrà anche una delega «per il riordino e la semplificazione dell’assetto normativo». E l’articolo 1 del ddl, sul contratto di servizio tra la Rai e il ministero dello sviluppo, dà al consiglio dei ministri il potere di deliberare indirizzi, appunto, prima di ogni rinnovo del contratto.

Persino Gasparri tuona, perché il «via i partiti dalla Rai» di Renzi si traduce in «meglio un solo partito, il suo» e «la Rai diventa proprietà privata del governo». Ma per i 5 Stelle «è nauseabondo osservare la finta opposizione di Fi. Il legittimo sospetto è che Renzi e Berlusconi con i loro colonnelli siano pronti a spartirsi nomine e direzioni delle nuove newsroom e delle reti». Perché Fi «ha ritirato diversi emendamenti in commissione e il ruggito di Brunetta si è trasformato in miagolio». E il blog di Grillo lancia l’hashtag #Dittaturai. Il coordinatore di Sel, Nicola Fratoianni, commenta: «Non è una riforma, ma la manutenzione di quella precedente. È una legge persino peggiore della Gasparri. Si butta fuori il Parlamento, si mette dentro il governo. Tutto è in mano all’esecutivo».