La battaglia di Chernobyl. E l’esercito russo occupa la centrale
L'invasione non risparmia la zona del disastro nucleare del 1986 Violenti scontri nell’area contaminata, ma nessun danno ai canister con le scorie radioattive. Ma si ignora la sorte dei samosely
L'invasione non risparmia la zona del disastro nucleare del 1986 Violenti scontri nell’area contaminata, ma nessun danno ai canister con le scorie radioattive. Ma si ignora la sorte dei samosely
L’esercito russo ha occupato la centrale nucleare di Chernobyl e ha assunto il controllo di tutti i 2.600 km dell’Area di evacuazione. La situazione sembra ora si sia stabilizzata, ma prima di evacuare gli ultimi stranieri presenti nella zona, ai dipendenti sono stati consegnati dei caschi militari.
Secondo quanto riferito dall’ufficio della presidenza ucraina, all’interno stesso del perimetro gli scontri sono stati violenti e ci sarebbero state anche delle vittime, ma non sembra che i canister contenenti le scorie radioattive abbiano subito danni. I soldati russi, inoltre, si sarebbero limitati a mantenere il controllo della centrale senza entrare o intaccare il nuovo sarcofago che protegge ciò che rimane del reattore numero 4 esploso nel 1986. Il rischio di un nuovo disastro nucleare rimane comunque minimo a meno di una deliberata volontà di distruggere la protezione di cemento che avvolge il reattore e il corium.
Non si conosce invece la sorte dei circa 180 samosely, cittadini che hanno rifiutato di evacuare la zona dopo il 1986 a cui si sono aggiunti gli ucraini sfollati dalle repubbliche popolari del Donetsk e del Luhansk.
Nella zona contaminata i combattimenti hanno distrutto un ponte nei pressi di un villaggio abbandonato e alcune famiglie situate nella cittadina di Chernobyl, a circa sette chilometri dall’omonima centrale, hanno testimoniato l’abbattimento di un aereo SU-25 russo che sarebbe decollato dal territorio bielorusso.
Durante una visita che avevo effettuato nella zona prima dell’invasione, i profughi ucraini, a differenza dei samosely, avevano espresso il timore che Putin potesse ordinare un attacco anche verso l’Area di esclusione.
Tra queste insicurezze, il nazionalismo ucraino, alimentato, come sempre accade, dal timore di una guerra proveniente dall’esterno, ha fatto proseliti: sono in molti a ricordare l’Holodomor, letteralmente «morte per fame». Il periodo tra il 1932 e il 1933 in cui milioni di ucraini sono morti per inedia è stato sempre visto come una deliberata scelta politica voluta esplicitamente da Stalin per sterminare il popolo ucraino.
A poco servono testimonianze e statistiche che asseriscono come anche altre regioni, come il Kazakhstan, la regione del Volga, degli Urali e la Siberia occidentale subirono la stessa sorte. Per un numero sempre maggiore di ucraini, la vittima designata della politica staliniana di sterminio per fame è solo l’Ucraina.
Allo stesso modo con cui l’Holodomor è stato utilizzato dal governo per distanziarsi da Mosca, anche la Chiesa ucraina non è stata da meno. Come spesso succede, la religione è un formidabile grimaldello per ottenere il consenso popolare. Nel dicembre 2018 si è consumato uno scisma tra la Chiesa ortodossa di Mosca e quella di Costantinopoli, la quale ha riconosciuto l’autocefalia della Chiesa di Kiev, sino ad allora sotto la direzione di Mosca e del suo patriarca Cirillo.
Nel gennaio 2019 il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, ha consegnato il decreto di autocefalia al patriarca di Kiev Epifanio, sancendo ufficialmente l’indipendenza della Chiesa ortodossa ucraina da quella, sempre ortodossa, sempre ucraina, ma sottomessa al patriarcato di Mosca.
La spaccatura, come era logico aspettarsi, ha seguito una frattura etnico-linguistica: Crimea, Donetsk e Luhansk hanno continuato ad essere fedeli al patriarca Cirillo, le regioni centro occidentali hanno, per la maggior parte, optato per l’autocefalia.
È quello che ha fatto anche la piccola chiesa di Sant’Elia, l’unica ancora in funzione a Chernobyl. Qui, la domenica si riunisce la piccola comunità che lavora nell’ex centrale Vladimir Lenin per completare la decommissione che terminerà, secondo i programmi, nel 2065. «Siamo ucraini e vogliamo esserlo al 100%» mi dice una ragazza la cui famiglia, originaria di Prypiat, è stata evacuata nel 1986 a Kiev e ogni anno, il 25 aprile, torna per ricordare con una messa l’anniversario dell’incidente nucleare. «Non vogliamo dimenticare, ma non vogliamo neppure ritornare a rivivere nel passato».
Errata Corrige
L’invasione non risparmia la zona del disastro nucleare del 1986. Violenti scontri nell’area contaminata, ma nessun danno ai canister con le scorie radioattive. Ma si ignora la sorte dei samosely
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