Sono sempre solo «fonti»: giovedì quelle di palazzo Chigi, ieri quelle del ministero della Giustizia. In entrambi i casi l’anonimato copre attacchi durissimi alla magistratura, anche se via Arenula evita di entrare in guerra totale accusando il potere togato di fare politica contro il governo. Per il resto, però, l’affondo è durissimo, tanto da spiazzare il viceministro Sisto, Forza Italia, che aveva appena provato a calmare gli animi assicurando che «il tempo della guerra contro i magistrati è finito». Al ministero, per non parlare di palazzo Chigi, la pensano diversamente: «L’imputazione coatta nei confronti di Delmastro, come di qualunque altro indagato, dimostra l’irrazionalità del nostro sistema. È necessaria una riforma radicale». L’irrazionalità consiste nel fatto, secondo il ministero, che la Procura al processo dovrà chiedere il proscioglimento, non potendo smentire se stessa e la richiesta d’archiviazione respinta dal Gip.

IL MINISTERO NE HA da dire anche sul caso Santanchè: «Fonti ministeriali manifestano, ancora una volta, lo sconcerto e il disagio per l’ennesima comunicazione a mezzo stampa di un atto che dovrebbe rimanere riservato. La riforma proposta mira ad eliminare questa anomalia tutelando l’onore di ogni cittadino presunto innocente sino a condanna definitiva». Le cose non stanno proprio così. L’autodifesa della ministra-imprenditrice ha creato palese imbarazzo nei ranghi stessi della maggioranza e avrebbe irritato molto, per usare un eufemismo, la stessa premier. Ma il senso del messaggio non cambia. La risposta del governo a quello che Giorgia Meloni ha considerato davvero un agguato politico di «una parte della magistratura» sarà doppio. Da un lato ci sarà l’accelerazione ma anche l’allargamento di alcune norme già avviate o sul punto di esserlo come la riforma dell’avviso di garanzia, bollinata ieri, della pubblicità dell’iscrizione nel registro degli indagati e probabilmente anche di altri atti giudiziari. Obiettivo: vietarne espressamente la pubblicazione e pubblicizzazione. Dall’altro c’è già un confronto muscolare con la magistratura che Elly Schlein definisce senza mezzi termini «intimidazione».

LA PREMIER SI TROVA a un bivio: sino a due giorni fa aveva cercato di evitare una guerra totale con la magistratura come quelle che segnarono l’intera parabola politica della destra guidata da Berlusconi: le riforme varate sono state quasi indolori a confronto degli sfracelli promessi in campagna elettorale. Per Meloni era una sorta di tregua di fatto, nella quale il governo rinunciava ad affondare troppo la lama e la magistratura, pur senza risparmiare critiche aspre, evitava comportamenti belligeranti. Dopo la pubblicazione delle notizie su Santanchè indagata, in realtà non segrete, e dopo la decisione del gip su Delmastro, Meloni si è convinta che una parte della magistratura, magari perché non accetta neppure la cancellazione del reato d’abuso d’ufficio, abbia deciso di passare all’attacco. La tentazione di togliere il freno a mano e procedere sulle riforme davvero radicali, quelle che renderebbero inevitabile lo scontro finale con le toghe come la separazione delle carriere è diventata all’improvviso fortissima.

IL SOTTOSEGRETARIO Mantovano, che come spesso capita è il più freddo, invita a uscire «da un revival di contrapposizioni che non fa bene a nessuno» sulla giustizia cercando «ipotesi di soluzione sulle quali su può convenire o meno ma senza essere condizionati da iniziative giudiziarie». Però la spirale innescatasi negli ultimi due giorni spinge tutti i soggetti in campo verso le posizioni più radicali. Ai comunicati di palazzo Chigi e del ministero della Giustizia, che non avrebbero mai potuto vedere la luce senza una decisione della premier e del guardasigilli nonostante ieri fosse a Tokyo, l’opposizione risponde con toni altrettanto bellicosi: «Non si ha memoria di uno scontro istituzionale di tale portata condotto con tale vigliaccheria. Meloni, Nordio, se vi rimane un barlume di senso dello Stato, smentite le fonti», si accalora Andrea Orlando per il Pd. Figurarsi i 5S: «L’attacco alla magistratura è una vergogna. Siamo di fronte a una fase pericolosa e grave per le istituzioni». Il caso del figlio di La Russa, che con tutto questo dovrebbe non entrarci niente, ha però inevitabilmente portato alle stelle un nervosismo già oltre i livelli di guardia. Tutto spinge verso la resurrezione della grande sfida tra Berlusconi e toghe. Con piena insoddisfazione di Giorgia Meloni.