Il cessate il fuoco è «impossibile senza un totale ritiro delle truppe russe». Così ieri il consigliere presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak, ha affidato a un tweet il rigetto di un accordo in stile Minsk. Fino a quel momento, alla fine dell’invasione russa, «il nostro team negoziale saranno le armi, le sanzioni e i soldi».

SE IN SERATA le Nazioni unite hanno chiesto alle due parti di riprendere i colloqui di pace, le parole di Podolyak danno la misura dello stallo militare sul campo e dell’isolamento occidentale della Russia e che aprono ad altre forme di pressioni.

Come quella avanzata ieri da Mosca, forte del controllo della più grande centrale nucleare europea, l’ucraina Zaporizhzhia: se Kiev non pagherà l’elettricità che consuma, ha detto ieri il vice primo ministro russo Marat Khusnullin, la lasceremo al buio. «Se il sistema energetico ucraino è pronto a ricevere e pagare, allora (l’impianto) lavorerà per l’Ucraina. Altrimenti lavorerà per la Russia».

Il riferimento all’intenzione di mantenere sotto occupazione i territori occupati dopo l’invasione è immediato, seppure – come specificato ieri dall’agenzia nucleare ucraina, la Energoatom – Zaporizhzhia è in funzione e rifornisce il paese come prima.

DUECENTOVENTI chilometri a sud est della centrale, c’è l’altro fronte caldo della guerra: l’acciaieria Azovstal di Mariupol. Ieri il ministero della Difesa russo ha calcolato in 1.730 i miliziani ucraini che si sono arresi da lunedì, 771 quelli usciti ieri dall’impianto (a registrarli c’è la Croce Rossa, faceva sapere martedì lo stesso Comitato in una nota).

Secondo Denis Pushilin, capo della Repubblica popolare di Donetsk, da Azovstal sarebbero già usciti la metà dei combattenti presenti. Tra loro, riportavano ieri le agenzie citando canali Telegram filo-russi, ci sarebbe anche Svjatoslav Palamar, vice comandante del battaglione neonazista Azov, apparso più tardi in un video dove afferma di trovarsi nell’acciaieria.

Il Cremlino non conferma, mentre nel paese – o meglio, in parlamento – si discute della possibile reintroduzione della pena di morte e dell’attribuzione agli «ex Azovstal» dello status di criminali di guerra (e non prigionieri di guerra).

NON SI STAREBBE invece discutendo delle presunte scoperte dell’intelligence britannica che, a fronte del fallimento di un conflitto-lampo, riporta della sospensione di alcuni dei vertici dell’esercito da parte del Cremlino. Tra le teste «tagliate» – in quella che i servizi britannici definiscono «una cultura di insabbiamenti e ricerca del capro espiatorio» – ci sarebbero il generale Serhiy Kisel, colpevole di non aver occupato Kharkiv, e il vice ammiraglio Igor Osipov, per gli insuccessi a capo della Flotta del Mar Nero.

Resta in sella, invece, il capo di stato maggiore Valery Gerasimov che ieri ha avuto il primo colloquio telefonico dall’inizio dell’invasione, lo scorso 24 febbraio, con l’omologo statunitense Mark Milley, fa sapere il Pentagono: «Discusse diverse questione relative alla sicurezza», dice la nota.

E INTANTO il rumore della guerra si allarga, supera i confini apparentemente annullati dall’invasione russa. A circa 40 chilometri dalla frontiera, nella cittadina russa di Belgorod, ci si sveglia da giorni con il boato delle esplosioni. È qui, raccontano alcuni abitanti alle agenzie internazionali, che l’esercito russo aveva dispiegato migliaia di truppe all’inizio dell’anno.

Ora è qui che cadono i missili ucraini. Non è la sola cittadina russa di confine a vederli arrivare. Kiev non rivendica ufficialmente, ma nel governo c’è chi parla di «cattivo karma» russo. Nell’ultima settimana l’area di Belgorod di attacchi ne ha registrati tre, in uno – nel villaggio di Tyotkino – è morto un civile russo, un camionista.

E si combatte anche sul fronte europeo, con altre modalità: ieri, mentre Londra introduceva nuove sanzioni contro tre compagnie aeree russe (Aeroflot, Ural Airlines e Rossiya Airlines non potranno vendere i loro slot negli aeroporti britannici, dal valore stimato di 62 milioni di dollari), la scure di Mosca di abbatteva anche sul Portogallo. Dopo l’espulsione mercoledì di 85 diplomatici tra italiani, francesi e spagnoli, cinque rappresentanti diplomatici di Lisbona hanno ricevuto il «foglio di via» dal territorio russo entro 14 giorni.

NELLE STESSE ORE in Germania si riuniva il G7, tra i temi trattati anche nuovi aiuti all’economia ucraina. In serata, la cifra: 18,4 miliardi di dollari, secondo la Reuters. E «siamo pronti a fare di più». Tra i più attivi, il cancelliere tedesco Scholz in una doppia veste: sul tavolo ha messo un miliardo di euro che Berlino intende girare alle casse ucraine nell’ambito di un «fondo Ue per la ricostruzione» da lui stesso proposto, ma ha poi frenato sulla possibilità di un’adesione rapida dell’Ucraina all’Unione europea.

Parole pronunciate ieri al Bundestag, prima del G7: «nessuna scorciatoia», non sarebbe giusto verso i paesi balcanici ancora in attesa, ha detto Scholz ricalcando le posizioni del presidente francese Macron che aveva già stimato in «decenni» il processo eventuale di adesione di Kiev. Immediata la risposta del ministro degli esteri ucraino Kuleba: un «trattamento di serie B» che «ferisce i sentimenti degli ucraini».

Il presidente Zelensky, però, festeggia l’approvazione da parte del Senato Usa del pacchetto da 40 miliardi di dollari promesso da Biden.