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Kerouac, il Vesuvio, San Francisco: un’appuntamento mancato

Kerouac, il Vesuvio, San Francisco: un’appuntamento mancato

Bar Un cocktail di storia e nostalgia, con un pizzico di amore per Kerouac

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 24 agosto 2024

Eh già, sarebbe stato bello se quella sera si fossero incontrati e fossero anche stati fotografati insieme. Ma di fatto no, all‘appuntamento che si erano dati a Big Sur, lungo la Highway 1, Jack Kerouac non era mai arrivato. Era rimasto al Bar Vesuvio di San Francisco a bere. Henry Miller gli aveva infatti scritto per complimentarsi per il suo nuovo libro I vagabondi del Dharma (The Dharma Bums), e per dirgli che gli avrebbe fatto piacere conoscerlo e parlare con lui.

Kerouac aveva risposto e si erano messi d’accordo per vedersi una sera del 1960 a Big Sur, lungo la costa. Ma no, Jack quella sera non si era proprio allontanato da San Francisco, dal bar Vesuvio e soprattutto da quei bicchieri.
Del resto, il bar Vesuvio non è mai stato solo e semplicemente un bar; in realtà è stato, e tuttora è, anche una galleria d’arte, un museo, o anche semplicemente un salotto per chi vive a San Francisco, a volte in appartamenti minuscoli o solo in semplici stanze.

Leo Riegler, uno dei proprietari o «padrone» del bar, una volta aveva sottolineato che «non puoi essere ogni cosa per tutte le persone», ma una cosa vera per Vesuvio café è che «sì, il bar è stato ogni cosa per le migliaia di persone che l’hanno chiamato casa per tutti questi anni».
Un’altra partner del bar da più di 60 anni, Janet Clyde, dice che Vesuvio «è come una piccola barca che continua a tagliare le onde e a navigare…».

Del resto, gli altri bar, o forse meglio saloon di altri quartieri, sono stati da tempo distrutti o abbandonati. Ma Vesuvio non è mai stato solo un bar. È vero che le vendite di alcolici hanno, come dicono qui, pagato le bollette, ma il posto è stato da sempre anche un luogo di incontro per la comunità, la sede di un gruppo di supporto letterario, una Mecca di parole, e oggi ormai una tappa obbligatoria nell’agenda di un qualsiasi curioso o turista o chi si avvetura per le strade della scrittura.

Molti dicono, magari mentendo pur di rientrare in questa sorta di mitologia californiana, che «Vesuvio è il primo e unico bar a San Francisco. Il bar per tutti.» Di fatto è un cocktail bar storico che si ‘affaccia’ su North Beach da più di 75 anni.

Qualcuno dice che City Light, la vicinissima libreria rivoluzionaria di Lawrence Ferlinghetti fondata nel 1954 e bar Vesuvio abbiano una relazione simbolica per l’epoca Beat. È come un Bohemian Cafè: cioè «un caffè forte, con brandy, amaretto e un pizzico di limone». Sembra proprio che poche cose siano cambiate dai tempi in cui aveva aperto e, una sorta di «massima fortunata» è: vieni a Vesuvio se vuoi bere un cocktail di storia e nostalgia, con anche un pizzico di amore per Kerouac.

Ed Henry Miller, a un certo punto, aveva scritto di Kerouac dicendo «Jack Kerouac ha violentato a tal punto la nostra immacolata prosa che essa non potrà più rifarsi una verginità. Appassionato cultore della lingua, Kerouac sa come usarla. Da virtuoso nato qual è, egli si compiace di sfidare le leggi e le convenzioni dell’espressione letteraria, ricorrendo ad una comunicazione scabra e liberissima tra scrittore e lettore.
Come ha detto egli stesso assai bene nello scritto The Essential & Spontaneous Prose: «Prima soddisfa te stesso, e poi al lettore non mancherà lo choc telepatico e la corrispondenza significante, perché nella tua e nella sua mente stanno operando le stesse leggi psicologiche». La sua integrità è tale che qualche volta dà l’impressione di andar contro i suoi stessi principi (…). La sua cultura, tutt’altro che superficiale si permette di strapazzarla come cosa di nessun conto (…). Come Thomas Wolfe, egli è posseduto da una forza vulcanica. È un poeta che con la sua opera dimostra una verità enunciata una volta da René Crevel: la mancanza di coraggio è letale».

Tra chi si ricorda quegli anni c’è anche Jerry Cimino, proprietario del Beat Museum (www.Kerouac.com), quasi di fronte a Vesuvio e a City Light, separati tra loro dalla piccola strada (alley) che oggi, giustamente, è intitolata a Jack Kerouac. «Si, è tutto vero, è una storia molto ben documentata e conosciuta credo da tutti a San Francisco.

Henry Miller, che viveva ormai a Big Sur, e dove saebbe andato a vivere per un po’ anche Kerouac ospite nella casa di Ferlnghetti, era un fan dei libri di Jack e avrebbe dovuto e voluto scrivere proprio l’introduzione a un suo nuovo libro. Era la tradizione del posto, soprattutto in quegli anni. Lo stesso Ferlinghtti aveva incontrato Henry Miller, chiedendogli di scrivere proprio quell’introduzione. Ma ormai Jack non stava più bene, beveva molto e viveva proprio quella vita un po’ sbandata e spesso molto confusa, che aveva raccontato nel libro Big Sur. Henry Miller e Ferlinghetti lo avevano quindi aspettato a Big Sur, ma dato che non si era visto, Lawrence aveva chiamato City Light chiedendo se qualcuno avesse visto Kerouac. Sì, avevano risposto, è proprio qui di fianco a Vesuvio, a bere. Quindi Ferlinghtti lo chiama a Vesuvio e gli chiede, ‘cosa stai facendo, siamo qui Miler ed io che ti stiamo aspettando’. E lui risponde…’oh caspita, mi sono dimeticato’. Ci volevano almeno 2 ore di viaggio per raggiungerli, sono 90 miglia. Jack era salito allora su un taxi che però lo avrebbe lasciato solo a Bixby Bridge. Che era, ed è ancora, un posto particolarmente ‘pericoloso’, soprattutto di notte. E cosi Jack scende dal taxi, cammina cercando lo ‘chalet’ di Ferlinghetti, ma si perde e va a dormire sulla spiaggia. Questo Kerouac è quello raccontato proprio dal flm Big Sur, uscito nel 2013.

È proprio cosi che Miller e Kerouac… non si sarebbero mai incontrati di persona.» Ma Vesuvio invece resta sempre lì, a fianco di City Light. Qualcuno dice ancora che ‘è come se il fantasma di Jack fosse ancora li’. C’è una specie di triangolo delle Bermuda, tre punti che rendono Vesuvio unico e irripetible: la connessione storica e profonda con l’epoca Beat, i tanti scrittori e attori che lo frequentano e la devozione dei clienti abituali, sempre presenti e sempre affezionati di North Beach.

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