Torna con forza in Israele lo scontro tra maggioranza e opposizione sulla riforma giudiziaria del governo di destra nonostante il premier Netanyahu, in un’intervista ieri al Wall Street Journal, abbia indicato di voler eliminare le parti più contestate del progetto di legge in cantiere. Ma in questi giorni sono altre due le questioni che infiammano il dibattito interno. La prima è il pesante attacco la ministra per le Questioni nazionali, Orit Struck (Sionismo religioso)   e il suo collega alla Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir (Potere ebraico), hanno lanciato ai capi delle Forze armate e di intelligence, responsabili a loro dire di aver minacciato misure punitive per i coloni autori, la scorsa settimana, di gravi raid contro diversi villaggi palestinesi – auto e case date alle fiamme, decine di feriti, un morto – dopo l’uccisione in un attacco armato palestinese di quattro israeliani nei pressi dell’insediamento di Eli (Nablus). La seconda questione è la possibile, i partiti della destra estrema al governo la invocano a gran voce, ampia operazione militare nella Cisgiordania settentrionale che, secondo indiscrezioni di stampa, dovrebbe prevedere la rioccupazione temporanea (48 ore) della città di Jenin, roccaforte della militanza armata palestinese che prende di mira i soldati e i coloni israeliani che abitano negli insediamenti costruiti in violazione di leggi e risoluzioni internazionali nei Territori palestinesi occupati.

All’operazione militare contro Jenin – destinata prevedibilmente a concludersi con un bilancio alto di uccisi e feriti non solo tra i palestinesi e, forse, a non raggiungere i suoi scopi  – sono legati anche il ruolo e il futuro dell’Autorità nazionale palestinese nata nel maggio del 1994 dalla firma degli Accordi di Oslo tra Yasser Arafat e Yitzhak Rabin nel settembre dell’anno prima. Guidata dall’88enne Abu Mazen, l’Anp sta vivendo una fase delicatissima in cui è schiacciata tra le pressioni di Israele che vuole il suo intervento contro le organizzazioni della lotta armata, particolarmente a Jenin e a Nablus, e quelle della popolazione palestinese che, invece, appoggia in massa gli attacchi a coloni e soldati, l’unica strada, secondo gli intervistati degli ultimi sondaggi, che può condurre alla fine dell’occupazione militare dopo il fallimento degli Accordi di Oslo e la mancata nascita dello Stato di Palestina in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. A ciò si aggiunge la crescita in Cisgiordania della popolarità dei movimenti islamisti Hamas e Jihad.

«Tra i problemi più seri non dimentichiamo la rivalità tra i possibili successori di Abu Mazen, molto anziano e ammalato, che contribuisce ad aggravare la precarietà dell’Anp. Un’uscita di scena improvvisa del presidente potrebbe innescare una battaglia per la successione con conseguenze imprevedibili e sfociare persino in scontri armati e in una cantonizzazione della Cisgiordania», ci diceva qualche giorno fa un ex dirigente di Fatah, il partito di Abu Mazen, che ha chiesto di rimanere anonimo.

Ai vertici politici e militari israeliani l’interrogativo su casa fare dell’Anp è aperto. Netanyahu sembra ancora convinto della funzione utile dell’Anp per Israele – lo ha ribadito giorni fa in conversazioni riservate riferite dai media – perché garantisce posti di lavoro e servizi pubblici a milioni di palestinesi sgravando l’occupazione militare di queste responsabilità. Israele però vuole che l’Anp svolga la sua funzione «antiterroristica» stabilita dagli Accordi di Oslo. L’ha ricordato il ministro della difesa Yoav Gallant nella conversazione telefonica avuta a inizio settimana con il numero 2 (di fatto) dell’Anp, Hussein Sheikh, ritenuto l’esponente palestinese preferito da Israele per la successione ad Abu Mazen.

Si levano però con più insistenza le voci, della destra radicale, che affermano che «Israele non può permettere» che la Cisgiordania «diventi un’altra Gaza». L’influente Meir Ben Shabbat, ex consigliere del governo per la Sicurezza nazionale, ha scritto nelle ultime ore su Israel HaYom che il governo deve decidere «come dovrà essere trattata l’Anp, parte del problema o parte della soluzione?» prima di lanciare l’operazione contro Jenin. «Se l’obiettivo dell’operazione è liberare l’area e poi di consegnarla all’Autorità palestinese, allora non vale i rischi associati a un’offensiva così vasta», spiega Ben Shabbat che, è evidente, vedrebbe con favore la fine dell’Anp perché non in grado di combattere i gruppi armati palestinesi.