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Jazzaldia, la musica risplende nelle piazze di San Sebastián

Jazzaldia, la musica risplende nelle piazze di San SebastiánNubya Garcia – foto Iolo Vasco

Festival Tante star e nomi noti, ma sui palchi minori sparsi per la città si celano autentiche gemme

Pubblicato circa un anno faEdizione del 28 luglio 2023
Paola De AngelisSAN SEBASTIAN

Il Jazzaldia di San Sebastián arriva all’edizione numero 58 e lo fa strizzando sempre più l’occhio a un pubblico giovane e pop. Il grande palco sulla spiaggia della Zurriola dove hanno suonato Bob Dylan, Patti Smith e l’anno scorso Mulatu Astatke, quest’anno ha aperto con i Village People e nei giorni successivi la programmazione è proseguita con gruppi pop-rock spagnoli come i Viva Suecia e Arde Bogotá, fino alla chiusura con i pamplonesi ZETAK, autentiche star di Euskal Herria. L’auditorium del Kursaal quest’anno ha avuto la sua star in Norah Jones, il concerto più caro della storia del Jazzaldia, e ha ospitato Ben Harper e Pat Metheny.

NEI NUMEROSI palchi minori sparsi per la città si celano autentiche gemme, come il concerto di Damir Imamovic (voce e tamburo) in trio con Derya Türkan (kemençe) e Žiga Golob (contrabasso): Imamovic è un maestro del sevdah, un genere nato in Bosnia ed Erzegovina nel XV secolo (l’ultimo disco Singer of Tales è prodotto da Joe Boyd). E così in una calda serata di luglio su una spiaggia basca un bosniaco, uno sloveno e un turco incantano il pubblico con un canto sefardita che gli ebrei portarono da Madrid a Sarajevo nel XV secolo.
Il vero jazz si ascolta alla Trini, la piazzetta incastonata tra il museo San Telmo, la Basílica di Santa María, le pendici del Monte Urgull e le case pittoresche del Casco Viejo. Dopo l’apertura con la Nachocaster di Julian Lage e la Telecaster di Bill Frisell, il 23 in una serata segnata dalla trepidazione per lo spoglio delle schede elettorali, con un orecchio al palco e un occhio al cellulare per gli aggiornamenti, tocca al trio di Abdullah Ibrahim e al quartetto di Nubya Garcia.

La manifestazione celebra la cinquantottesima edizione con un ricco cast: Bill Frisell, Abdullah Ibrahim, Nubya Garcia

Il primo è un’esperienza di purezza e umanità trascendentali. Il pianista, 88 anni, suona in modo ascetico, malinconico e sereno, in dialogo con se stesso. Arriva sul palco sorretto dai suoi musicisti e sorprende il contrasto tra la fragilità delle gambe e del corpo e il discorso lucido delle mani, che allontana spesso dalla tastiera e posa sulle gambe, lasciando risuonare le note. Un soliloquio di rimembranze, un concerto che prende vita come una suite, con interludi e momenti di interplay suonati dagli eccellenti Cleave Guyton (sax, flauti e clarinetto) e Noah Jackson (contrabasso e violoncello).

IL FINALE lascia senza fiato: Ibrahim si alza e appoggiato al pianoforte intona a cappella un canto di schiavitù, la voce rotta ma decisa. Un lamento che ricorda le navi cariche di schiavi e si conclude con la speranza di poter rivedere presto l’Africa. Un addio che riempie gli occhi di lacrime cantato da un uomo che si trova nella dimensione intermedia tra i tasti del pianoforte e l’aldilà.
Poi arriva Nubya Garcia, con il suo gran sorriso, il grande sassofono, la grande treccia bionda che le danza sulla schiena, una grande energia, un grande gruppo, e attacca un concerto dub e drum & bass. «Che città stupenda, dice, oggi sono perfino andata in spiaggia. Non mi succede mai quando sono in tour, poi però tutti sono usciti dall’acqua per via delle meduse». In realtà le temibili caravelle portoghesi sono false meduse: le vedi veleggiare sull’acqua a una certa distanza, ma i tentacoli lunghi decine di metri potrebbero essere ormai a pochi centimetri da te e tu a pochi minuti dall’ospedale.

IL TERZO giorno la Trini è di Enrico Rava, per la quinta volta al Jazzaldia. Con l’occasione il sindaco Eneko Goia gli ha consegnato il premio alla carriera che in passato hanno ricevuto Herbie Hancock, Max Roach, Keith Jarrett, Chick Corea, tutti i più grandi del jazz che sono venuti al festival. Che effetto le fa, gli chiedono in conferenza stampa. «Mah, io non mi sento nella stessa categoria di Herbie Hancock», risponde compassato.

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