Roger Honeywell e Grace Kahl in «A Thousand Acres», Des Moines Metro Opera, 2022 (foto Duane Tinkey)
Roger Honeywell e Grace Kahl in «A Thousand Acres», Des Moines Metro Opera, 2022 – Duane Tinkey
Alias Domenica

Jane Smiley, Re Lear trasloca in Iowa

Scrittrici statunitensi Sfruttando le potenzialità della forma romanzo, Jane Smiley riscrive la tragedia shakespeariana dal punto di vista delle tre figlie: «Erediterai la terra», da La Nuova Frontiera
Pubblicato 3 giorni faEdizione del 10 novembre 2024

Quando venne trasposto per il grande schermo, nel 1997, da Jocelyn Moorhouse con un cast prestigioso, A Thousand Acres aveva già vinto il Pulitzer nel 1992: l’autrice Jane Smiley, californiana di origine, per quindici anni docente al prestigioso Iowa Writers Workshop, autentica fucina di giovani scrittori, pur avendo alle spalle una carriera importante, con quindici romanzi e due raccolte di racconti, è ancora pressoché una sconosciuta in Italia. La sua unica opera tradotta è, per l’appunto, Erediterai la terra che all’epoca del premio Frassinelli tradusse con il titolo La casa delle tre sorelle, da decenni fuori catalogo, e ora proposto da La Nuova Frontiera nella eccellente traduzione di Raffaella Vitangeli (pp. 445, € 22,00).

Ambientato nello Iowa durante gli anni Settanta, il romanzo è, prima di tutto, una rilettura del Re Lear shakespeariano: al centro, la famiglia Cook, che essendo approdata nello Iowa dall’Inghilterra alla fine dell’Ottocento, ha saputo trasformare un terreno paludoso – acquistato prima di partire per gli Stati Uniti – in uno degli appezzamenti più fertili della Contea di Zebulon.

Artefice dell’impresa è stato in larga parte Larry, il capofamiglia, un vedovo ormai anziano, collerico quanto autorevole, incessantemente impegnato, insieme all’amico Harold Clark, nel modernizzare le tecniche agricole e nel privilegiare, sul duro lavoro manuale, l’acquisto di macchinari sempre più sofisticati.

Da quando, di punto in bianco, Larry decide di ritirarsi e di cedere la propria fattoria – e i mille acri di terreno che la circondano e danno il titolo al romanzo – alle tre figlie, Ginny, Rose e Caroline, la vicenda comincia a snodarsi in un apparentemente perfetto allineamento con la tragedia shakespeariana. Mentre Ginny e Rose – e i rispettivi consorti, Ty e Pete – accettano di buon grado la proposta del padre e già pensano a come proseguire nel lavoro di modernizzazione, lanciando un allevamento di maiali su larga scala, Caroline – l’unica ad aver abbandonato la propria terra di origine ed essersi stabilita in città, a Des Moines, dove lavora come avvocato – esprime una serie di perplessità e riserve, scatenando le ire di Larry, che la caccia di casa.

Presto, tuttavia, il vecchio patriarca comincia a dare segni di squilibrio: la scontrosità e il distacco che ha sempre mostrato nei confronti delle figlie si trasforma in aggressività; seduto alla finestra di casa sua, Larry guarda con sospetto i due generi al lavoro; una sera esce con il suo furgone e, ubriaco, finisce in un fosso, rischiando l’arresto per guida in stato di ebbrezza; il tentativo di Ginny e Rose di circoscriverne e controllarne i movimenti provoca un’esplosione d’ira feroce, che culmina nel tentativo – appoggiato da Caroline, con la quale si è nel frattempo riconciliato – di invalidare la cessione della fattoria e di rientrarne in possesso, con l’appoggio del vecchio amico Harold.

Se per un verso il primo merito del romanzo sta proprio nella raffinatezza con la quale Smiley ha saputo aderire al testo shakespeariano, e mantenerne la potenza tragica pur spostandolo nel cuore di uno Iowa agricolo ossessionato dalla modernità, ridurre Erediterai la terra a un calco attualizzato del Re Lear farebbe torto alla scrittrice americana, la cui elegante riscrittura sfrutta tutte le tecniche e le potenzialità della forma romanzo per riorientare la trama della tragedia dal punto di vista delle protagoniste, centrandolo sul conflitto tra generazioni e sul peso del non detto (Segreti è, non a caso, il titolo italiano del film di Moorhouse).

La prima – e fortunata – scelta di Smiley è stata quella di optare per una narrazione in prima persona, affidata alla voce di Ginny, la sorella maggiore: una Goneril dall’animo gentile, condannata a non avere figli, rassegnata a un rapporto affettuoso e ormai distaccato con il marito Ty, ma pronta a innamorarsi di Jess, uno dei due figli di Harold, tornato nella contea di Zebulon dopo un lungo periodo trascorso in Canada per sottrarsi alla leva ed evitare così l’inevitabile partenza per il Vietnam.

Dotata di una capacità di autoanalisi a tratti feroce e mai ostentata, Ginny sin dalle prime pagine è impegnata in un difficile  rapporto con il padre patriarca: «I miei primi ricordi di lui sono legati alla paura che avevo di guardarlo negli occhi, o anche solo di sfiorarlo con lo sguardo. Era troppo imponente e la sua voce troppo profonda. Se dovevo parlargli, lo facevo fissando la sua tuta da lavoro, la camicia, gli stivali. Se mi sollevava per avvicinarmi al suo viso, mi ritraevo. Se mi dava un bacio, lo sopportavo, rispondendo con un debole abbraccio. Al tempo stesso, però, il suo aspetto temibile mi rassicurava quando pensavo a cose paurose come ladri e mostri; inoltre vivevamo in quella che era senza ombra di dubbio la fattoria migliore e più sapientemente coltivata. La fattoria più grande, gestita dal più grande degli agricoltori. Un quadro che corrispondeva, o che forse aveva contribuito a dare forma, alla mia idea del giusto ordine delle cose».

Quando la nuova generazione viene chiamata a subentrare alla vecchia, e questa, venendo meno il cieco ossequio che aveva reclamato per sé, cerca di tornare sui propri passi, il giusto ordine salta e il conflitto esplode. Smiley sa raccontarlo nelle sue infinite sfumature grazie alla cura e alla penetrazione psicologica con la quale raffigura – in modo davvero shakespeariano – tutti i personaggi: dall’amata sorella Rose, ribelle fino all’arroganza, rigida con le due figlie, pronta a svelare i segreti inconfessati che ne hanno forgiato il carattere, a Caroline – una Cordelia quasi al contrario, nel disprezzo e nell’incomprensione che riserva alle sorelle maggiori e al loro dramma; da Pete e Ty – i due generi che Larry tollera a stento, figure di una umanità a suo modo dolente, anche nei rispettivi difetti – a Jess, che, nella partitura del romanzo, assume il doppio ruolo del figlio «rinnegato» e del fool shakespeariano.

In un contesto agricolo, dove – come racconta Ginny – c’è nella sofferenza degli uomini  «un che di silenzioso e inconsapevole, come se, al pari degli animali, non fossero in grado di avere una visione chiara del proprio dolore», e spetta alle donne assicurare «una specie di narrativa e di commento ininterrotti su quanto accadeva, generati dalle nostre conversazioni, dagli occhi levati al cielo, dai sospiri, dalle battute scherzose e dalle osservazioni contrariate», spetta comunque a un uomo, Jess, portare all’evidenza il senso di perenne di inadeguatezza e di precarietà che la generazione dei padri ha inflitto a quella dei figli, consegnandola a un futuro segnato dalla guerra in Vietnam, dallo sfruttamento brutale della terra, da una brama illimitata di dominio. Nel  grido disperato di Jess – «Riesci a immaginare fino a che punto ci hanno fottuti, Ginny?» – si nasconde l’anima segreta di un romanzo nel quale conflitto di genere e conflitto generazionale convergono, in una orchestrazione pressoché perfetta.

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