Italicum, quella modifica per una coalizione che non c’è più
«Non vinceremo questo referendum evocando la paura del no. È vero, i rischi per l’Italia sono notevoli: ma noi non dobbiamo evocare la paura. Perché nel nostro Dna c’è la […]
«Non vinceremo questo referendum evocando la paura del no. È vero, i rischi per l’Italia sono notevoli: ma noi non dobbiamo evocare la paura. Perché nel nostro Dna c’è la […]
«Non vinceremo questo referendum evocando la paura del no. È vero, i rischi per l’Italia sono notevoli: ma noi non dobbiamo evocare la paura. Perché nel nostro Dna c’è la speranza, non la paura. Costruire una proposta, non evocare una minaccia». Nella sua enews il presidente Renzi approfondisce l’opera di sminamento e «spersonalizzazione» del referendum costituzionale di ottobre – o novembre? -. Non c’è da agitare paure, dice, anche se, sia chiaro, con il sì «l’Italia diviene un Paese più semplice. Ci saranno meno politici, meno sprechi di tempo e denaro, più partecipazione, più chiarezza di ruoli». Ma non è evocando sfaceli che vuole risalire la china.
Anche la ministra Boschi attenua i toni apocalittici in caso di vittoria del no: «Le sorti del governo non c’entrano», dice al consiglio nazionale di Centro Democratico: «non vogliamo un voto di fiducia o di simpatia al governo ma un dibattito serio e approfondito». L’operazione ’simpatia’ dopo i giorni della minaccia dei disastri è la parola d’ordine di tutto il partito di maggioranza. E investe naturalmente la legge elettorale. Lorenzo Guerini, vicesegretario con delega sostanziale all’aggiustamento degli spigoli, infatti ribadisce: «Restiamo aperti al confronto, ma solo su ipotesi concrete che abbiano una base solida a livello numerico», ma «bisogna essere molto chiari. Il tentativo di tenere insieme il tema della riforma costituzionale con quello della legge elettorale è assolutamente sbagliato e rischia di confondere gli elettori».
Ma non sono gli elettori i destinatari del balletto di aperture e chiusure sulla legge elettorale e sul premio di maggioranza alla coalizione anziché alla lista. I destinatari sono i partiti e i partitini del centro e centrodestra ai quali subito restituire la speranza di tornare, in qualche modo, in parlamento, per farli sfilare dal fronte della rivolta anti-Renzi, sempreché questa rivolta si stia davvero coagulando.
Un passo alla volta: ieri Renzi è atterrato a Varsavia per il vertice Nato con la ragionevole certezza di aver ricompattato la maggioranza dopo il caos interno di casa Alfano. E di aver risposto al meglio al malumore dei centristi sulla possibilità di far risorgere le defunte coalizioni. Persino Graziano Delrio, ultrà sul fronte del mantenimento dell’Italicum così com’è, ammette che «il Parlamento è sovrano» e «il Vangelo è stato scritto da qualcun altro». Tutto pur di sottrarre il centro e la destra al fronte del no, e della minaccia di elezioni anticipate con legge elettorale proporzionale e senato con sbarramento inarrivabile.
Un discorso che non riguarda affatto invece la sinistra alla sinistra del Pd. Allo stato Sinistra italiana, ex Sel, per il dopo referendum prepara un congresso in cui il fronte del «mai più con il Pd» è in vantaggio, almeno per ora e a segreteria di Renzi ancora in piedi. Molto, se non tutto, dipende dal voto di ottobre. Ma la sinistra del centrosinistra di fatto non c’è più, e il premio alla coalizione non la resusciterebbe. Renzi lo sa, e persino lo auspica: non è da quella parte che guarda per eventuali nuove coalizioni. Almeno finché c’è lui a Palazzo Chigi, e al Nazareno.
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