L’overtourism è il problema dell’estate in tutta Europa, ma in Italia comuni e governo sembrano fare spallucce. Esploso in seguito alla pausa forzata dal Covid, il «troppo turismo» ha conseguenze ambientali e sociali: aerei e navi da crociera che inquinano, città sovraffollate e cementificate, carenza di alloggi abitativi perché convertiti al mercato degli affitti brevi. Temi che riguardano da vicino l’Italia, quinto Stato più visitato al mondo e terzo per numero di pernottamenti, col turismo che secondo la Banca d’Italia genera il 5% del Pil e il 6% degli occupati.

OGNI LUOGO ha una diversa capacità di carico, superata la quale si comincia a parlare di overtourism. Nella nostra penisola la soglia è stata superata nei centri storici di molte città, con pesanti effetti e soluzioni inadeguate. A Venezia, che supera i 30 milioni di visitatori all’anno, il numero di posti letto turistici ha oltrepassato quello dei residenti e le attività sono quasi esclusivamente bar, ristoranti e negozi di souvenir. L’isola è invivibile per il sovraffollamento e l’impossibilità di trovare un alloggio a prezzo calmierato, ma l’unico provvedimento del sindaco Brugnaro è stata l’introduzione del ticket di accesso, che non serve a limitare il turismo bensì solo a riempire le casse del comune, consacrando la condizione dell’isola a un parco di divertimenti in cui si paga per entrare.

NON VA MEGLIO A NAPOLI, dove in pochi anni è avvenuto un boom di visitatori annuali, passati da 3,2 milioni nel 2017 a 12 milioni nel 2022, a fronte di meno di un milione di abitanti. Ma, al contrario dei cittadini, i turisti sono tutti concentrati nel centro storico. Qui i residenti sono stati sfrattati per fare posto agli Airbnb, passati dai circa 1.300 nel 2015 ai 10mila nel 2022, e a ristoranti folkoristici in cui si offre l’esperienza di una «napoletanità» posticcia. L’amministrazione è rimasta finora indifferente rispetto ai problemi abitativi. Firenze, 7 milioni di turisti all’anno contro 360 mila residenti, è stato l’unico comune italiano a introdurre un limite agli affitti brevi, ma la norma è stata annullata nei giorni scorsi dal Tar. L’elenco potrebbe continuare con altre città, dalle grandi alle piccole.

A ROMA il turismo rischia di diventare ingestibile col Giubileo, a Bologna le politiche della «City of food» hanno trasformato il centro storico in un enorme ristorante a cielo aperto, mentre le Cinque terre inn Liguria non riescono a contenere tutte le persone che vogliono visitarle, così come molte altre località balneari e montane. L’Italia è affetta da un overtourism diffuso, ma a differenza di altri paesi, a partire dalla Spagna, infuocata dalle proteste contro il turismo, il nostro si distingue per la mancanza di reazioni massive e di provvedimenti locali e nazionali.

I COMUNI intervenuti per fare qualcosa si contano sulle dita di una mano, mentre il governo continua a favorire l’economia iperturistica. Qualche esempio: i 25 milioni del Fondo per il turismo sostenibile stanziati per il triennio 2023-25, che in realtà sono un generico incentivo per gli investimenti promozionali delle imprese ricettive declinati in chiave green; o i 430 milioni per l’ammodernamento degli impianti di risalita e innevamento artificiale per il 2023-28, che sostengono un sistema già moribondo.

SUGLI AFFITTI BREVI, il decreto Anticipi si è limitato a istituire l’obbligo di un codice identificativo per le locazioni turistiche, ma senza porre alcun limite al fenomeno; mentre il Salva casa di Salvini, nel semplificare i cambi di destinazione d’uso e consentire i piccoli interventi edilizi senza autorizzazione, farà ancora più aumentare le case vacanze e i b&b oltre a consentire, con il ddl Concorrenza, la permanenza dei dehors che dovevano essere delle strutture temporanee, per aiutare i locali nel periodo del Covid, e invece sono ormai delle presenze permanenti che di fatto privatizzano molti spazi pubblici, dando il diritto a godere di una piazza solo a chi consuma.

LA MINISTRA SANTANCHÉ ripete quasi ogni giorno che il turismo è il «petrolio d’Italia», senza rendersi conto che, in tempi di crisi climatica, la metafora con l’energia fossile è ormai vetusta. E parla di «turismo sostenibile» nonostante il turismo sia insostenibile per sua natura, in quanto persegue un meccanismo di crescita che lo porta inevitabilmente a superare la soglia della sostenibilità.

OLTRETUTTO, il turismo è un’economia molto precaria: basta un evento catastrofico imprevedibile (guerre, alluvioni, mucillagini) per determinare la sua scomparsa. Quando questi fenomeni avvengono nelle località dove il turismo è una monocoltura, si innesca una crisi dovuta alla mancanza di alternative economiche. Lo abbiamo visto durante il Covid, quando in assenza dei turisti e con gli abitanti ormai scomparsi, i centri storici di Venezia e Firenze erano un susseguirsi di serrande abbassate. Ma nonostante queste avvisaglie, comuni e governo continuano a puntare tutto sul turismo.

RISPETTO AL TROPPO TURISMO, limitare il fenomeno non basta, ma si può ripensarlo senza negarlo. L’overtourism è conseguenza della conquista del tempo libero per una quantità sempre maggiore di persone. Siamo tutti turisti, reali o potenziali, e chiunque vorrebbe vedere i luoghi più belli del mondo. Ma negli ultimi anni è diventato normale visitare una città a migliaia di chilometri di distanza per pochi giorni e alloggiare in un appartamento trovato su Airbnb, alla ricerca dell’ennesima esperienza da instagrammare.

QUESTA PRATICA non è sostenibile, alimenta l’inquinamento e le ingiustizie del mercato delle piattaforme. La crisi ambientale sta già dando le prime avvisaglie di una possibile «fine del turismo»: in montagna non nevica più, le spiagge sono minacciate dall’innalzamento del mare e presto farà troppo caldo per visitare le città d’arte in estate. Allora la vacanza può tornare a essere più lenta e vicina. E chi amministra le città, nel ripristinare l’equilibrio perduto, è chiamato a smettere di turistificarle e renderle più vivibili per i residenti.