«Delle 412 assistenti di volo assunte» da Ita «nessuna è andata in astensione obbligatoria per maternità». È «il punto decisivo» della sentenza con cui il giudice del tribunale del Lavoro di Roma Claudio Cottatellucci ha condannato Italia Trasporto Aereo – la compagnia nata dalle ceneri di Alitalia – per discriminazione nei confronti di due lavoratrici in gravidanza.

SI TRATTA DELLA PRIMA SENTENZA subita dalla società guidata dal presidente Alfredo Altavilla che ha imposto il «modello Fca» – da cui proviene – di compressione dei diritti e di uscita – almeno fino a dicembre – dal contratto nazionale di lavoro.

Nelle dieci pagine di sentenza il quadro delineato dal giudice è molto grave: oltre alle due lavoratrici – dipendenti Alitalia con oltre dieci anni di anzianità con base a Fiumicino, entrambe in gravidanza al momento della domanda di assunzione – è stata accertata la discriminazione almeno per altre sette – di cui una a base Linate – portando il giudice a scrivere nero su bianco che «risulta quindi provato che la società Ita ha adottato un comportamento discriminatorio nelle assunzioni escludendo completamente le lavoratrici in gravidanza» e arrivando a «ordinare a Italia Trasporto Aereo la cessazione del comportamento illegittimo consistente nell’esclusione delle candidate in gravidanza e puerperio dalla selezione per le assistenti di volo; a condannare Ita al pagamento di 22 mila euro a ciascuna a titolo risarcitorio oltre al pagamento delle spese». Mentre non è stata accolta la richiesta del reintegro che «esorbita dal potere giudiziale».

Altre sentenze arriveranno nei prossimi mesi. Quasi tutte sono in capo al tribunale del Lavoro di Roma mentre al tribunale delle imprese è cominciata la discussione per la class action che chiede l’assunzione di tutti i 3mila ex dipendenti di Alitalia, causa sulla quale Altavilla in commissione parlamentare si è espresso come se fosse al di sopra della legge: «Se avesse successo in sei mesi portiamo in libri in tribunale. Se qualcuno vuole cercare il modo per far fallire Ita questo è il sistema migliore».

A CONFERMARE UNA VISIONE assai discutibile del rispetto delle leggi – ancor di più da parte di una società interamente pubblica – sono le tesi difensive di Ita nel dibattimento. Per prima cosa gli avvocati di Altavilla hanno sostenuto che «la discriminazione non ci sarebbe in quanto la procedura di assunzione terminerà nel 2025 ed è appena all’inizio».

Il giudice ha invece accertato che a febbraio di quest’anno sono già stati assunti 2.925 sui 5.750» – come testimoniato da Elda Accroglianò, coordinatrice della gestione del personale di Ita – : oltre la metà dunque. In seguito Ita ha sostenuto addirittura che «trovandosi in una fase di start-up (l’unica al mondo con un capitale di miliardi, ndr) non è tenuta ad osservare alcuno specifico criterio selettivo».

Ita ha poi cercato di cambiare strategia sostenendo che le «due lavoratrici erano state escluse perché sprovviste del recurrent training, l’abilitazione per operare a bordo. Ma è stato facile per le avvocate Francesca Verdura e Tiziana Laratta e l’avvocato Sergio Romanotto di Milano provare che l’abilitazione è annuale e basta un corso di due giorni per ottenerla – corso previsto da Ita a gennaio.

Come detto, contro Ita pendono ancora molti ricorsi. Oltre alla class action per la non applicazione della continuità contrattuale nella cessione di ramo d’azienda e la richiesta di riassunzione di tutti i lavoratori del ramo Aviation di Alitalia, ne è stata presentata un’altra per discriminazione nell’assunzione delle donne fra i 35 e i 50 e con legge 104.

In più ci sono decine di ricorsi che coinvolgono centinaia di lavoratori Alitalia – di cui metà donne – con la richiesta di reintegro per violazione dell’articolo 2112 del codice civile che in caso di trasferimento d’azienda prevede che i lavoratori debbano transitarvi e contesta la mancata trasparenza della selezione di un’azienda pubblica e chiede al Mef – azionista unico – un’ azione di responsabilità civile nei confronti di Altavilla per sperpero di denaro pubblico. Le cause sono state depositate dall’avvocato Pierluigi Panici che commenta così la sentenza di ieri: «È vergognoso che un’azienda interamente pubblica nel mese della festa della donna sia condannata per discriminazione nei confronti di lavoratrici in gravidanza. Il ministero del Lavoro dovrebbe subito intervenire».