Ad incendiare ieri una giornata già segnata da bombardamenti aerei israeliani e lanci di razzi da Gaza, è stata nel pomeriggio l’uccisione, con un missile sganciato da un drone israeliano contro un palazzo, di Iyad Al Hassani, 54 anni, un comandante militare del Jihad islami, assieme alla guardia del corpo. Si tratta del sesto alto ufficiale dell’organizzazione armata ucciso da Israele in quattro giorni. Dopo l’annuncio della morte di Al Hassani, il segretario generale del Jihad, Ziad al Nakhalah, ha avvertito che il gruppo non farà tacere le armi fino a quando Israele non accetterà i termini del Jihad per un cessate il fuoco. Sale il bilancio dei morti palestinesi, almeno 33. In feriti sono 111.

La notte di giovedì si erano diffuse voci di un’intesa vicina, grazie alla mediazione egiziana, per il cessate il fuoco. Non erano vere. Perché la distanza tra il governo di destra di Benyamin Netanyahu e il Jihad è ampia non solo sulla richiesta della cessazione da parte di Israele degli «omicidi mirati» dei leader del gruppo islamista ma anche sulla restituzione del corpo di Khader Adnan, il prigioniero politico palestinese morto il mese scorso in una prigione israeliana dopo oltre 80 giorni di sciopero della fame.

Ieri mattina una trentina di razzi erano stati lanciati da Gaza verso Sderot, il sud di Israele e in direzione di Gerusalemme. La città non è stata raggiunta ma le sirene di allarme sono scattate negli insediamenti coloniali israeliani nella zona di Betlemme, nella Cisgiordania palestinese occupata, e a Beit Shemesh a una ventina di chilometri da Gerusalemme. Il Jihad nel pomeriggio ha messo in rete un filmato in cui mostra il suo razzo più potente, Buraq 85, con una gittata di oltre 80 km. Un razzo di questo tipo potrebbe aver colpito due giorni un palazzo della cittadina israeliana di Rehovot uccidendo una donna anziana.

Si guarda sempre a cosa farà il movimento islamico Hamas, che controlla Gaza e che fino ad oggi non ha preso parte attiva ai lanci di razzi pur sostenendo il Jihad. Non appare interessato a scendere in guerra con Israele. Piuttosto pensa ad organizzare nei Territori occupati proteste di massa il 18 maggio, quando migliaia di ultranazionalisti israeliani celebreranno con la «Marcia delle Bandiere» la «Giornata di Gerusalemme», ovvero l’occupazione militare della zona araba della città nel 1967.