È dalle prime parole ambigue del premier israeliano Netanyahu come dalle ultime di ieri sera che si comprende che cosa dobbiamo aspettarci ora. «È stato un giorno nero. – ha detto parlando alla nazione dell’attacco di Hamas del 7 ottobre – Chiariremo tutto quello che è successo. Tutti dovranno dare spiegazioni per quell’attacco, a cominciare da me. Ma solo dopo la guerra. Il mio compito ora è quello di guidare il Paese fino alla vittoria» e ancora «Ogni militante di Hamas è un uomo morto».

Ma che vuol dire questo per gli ostaggi israeliani in mano ad Hamas? Il governo di guerra israeliano vuole davvero liberarli o pensa di farla finita, nel mucchio, com’è accaduto a Monaco? Certo, magari i miliziani di Hamas, responsabili del sanguinario eccidio del 7 ottobre, li eliminerà tutti, ma quei bambini terrorizzati e sporchi di polvere e sangue tra le macerie di Gaza non è facile immaginarli come «dialoganti» senza memoria e rabbia tra dieci anni.

DOPO L’ANNUNCIO dei giorni scorsi dell’esercito israeliano che l’invasione «è stata rinviata», sembra confermarsi, anche con il primo assalto – «comincia la vendetta» – di queste ore, che non vedremo 300mila soldati israeliani invadere con duemila carri armati la Striscia e combattere tutti casa per casa in una guerra urbana incerta per ogni esercito. E questo perché l’«invasione» c’è già stata e c’è ogni giorno: è la guerra di bombardamenti aerei che uccide e terrorizza la popolazione civile di più di due milioni di persone, spostate a piacimento verso aree che si dice non saranno colpite ma poi inesorabilmente lo sono, mentre le città vengono rase al suolo – Beit Hanoun non esiste più – e Gaza City è ora un campo di battaglia e un cumulo di rovine dove si aggirano centinaia di migliaia di famiglie disperate alla ricerca di cibo, acqua, medicine – ora senza comunicazioni e senza aiuti. Chi ha detto «Cibo e acqua come arma di guerra è un crimine»? È stato il presidente Mattarella che forse ancora non rischia di fare la fine di Guterres. La strage dell’attesa «invasione» è già davanti agli occhi del mondo: siamo a 7.703 vittime civili, di cui 3.595 bambini. È questa la «misura proporzionata e adeguata» per rispondere alla strage di Hamas? Oppure com’è credibile andiamo verso i diecimila morti civili nel silenzio passivo e l’omertà generali.

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SIAMO INVECE ALLE azioni terrestri mirate di forze speciali, il grosso della «vendetta per la vittoria» lo fanno già i bombardamenti con tante «perdite collaterali», commenta l’almirantiana Meloni che annuncia ai microfoni, udite udite, di avere portato al Consiglio europeo di giovedì nientemeno che l’idea «di due popoli e due Stati» e che ora bisogna«dare sostegno all’Anp». Ci mancava solo l’annuncio di un “piano Mattei” per Gaza.

PERCHÉ SIAMO alla beffa di una giaculatoria senza senso se non si dice che la prospettiva «due popoli, due Stati» di Oslo, già ambigua negli accordi, è stata via via azzerata e resa impossibile, dopo l’uccisione di Rabin da parte di un estremista ebreo (non di Hamas) e dalle scelte identitarie dei governi israeliani, in primo luogo da Netanyahu con il sostegno degli Stati uniti, che hanno avviato una politica di isolamento e boicottaggio a tutti i livelli della Striscia dopo la vittoria elettorale di Hamas del 2006 sia a Gaza che in Cisgiordania; insieme a centinaia di insediamenti coloniali in Cisgiordania tanti e tali che non esiste più la possibilità di una continuità territoriale di uno Stato. Come senza senso è «dare sostegno all’Anp», se non si vede come sia stata devastata nella sua autorità e credibilità tra i palestinesi per la sua immobilità, subalternità e infine corruzione. Ma soprattutto più continua il massacro a Gaza, meno sarà possibile trovare interlocutori palestinesi moderati.

IL DISASTRO DI OSLO interroga anche noi: è sempre più evidente ormai che anche lì, tra pogrom e massacri, vendette e macerie il problema non è più quello di una rivendicazione di sicurezza statuale, né per Israele che come Stato esiste già, potenza militare e atomica tra le più rilevanti al mondo, né per i palestinesi senza Stato e nazione. Lo spiraglio di luce che emerge dalla valutazione concreta che senza i lavoratori palestinesi (e stranieri) l’economia di Israele crolla, ci dice che si apre una prospettiva di lotta di classe, di una lotta sociale per l’eguaglianza e i diritti verso una democrazia sostanziale che si avvera solo nei larghi spazi, contro vecchi e nuovi confini e muri, anche quelli del Medio Oriente. Senza dimenticare che il movimento per la democrazia in Israele è destinato ora a radicalizzarsi.

INTANTO PERÒ È SU QUESTO scellerato principio della «vendetta per la vittoria» che si tiene in piedi il gabinetto di guerra, di fronte ad una opinione pubblica interna che già denuncia le responsabilità di Netanyahu e dei militari. Chi ne fa parte sa che prima o poi dovrà rendere conto, ma «alla fine della guerra»: c’è da credere dunque che la guerra durerà a lungo. E infatti ieri sera Netanyahu sempre rivolto alla nazione è stato chiaro: «La guerra dentro Gaza sarà dura e lunga, Vogliamo restituire agli assassini quello che hanno fatto. Se Israele non vince questa guerra si diffonderà il male. La nostra sarà la vittoria del bene sul male».

In Israele è chiaro invece che Netanyahu sia considerato responsabile del ruolo assegnato ad Hamas e che l’esercito deve rispondere della sua negligenza e acquiescenza al premier che ha voluto spostare uomini e mezzi oltre all’intelligence nella Cisgiordania occupata per sostenere le volontà della destra estrema che protegge le colonie illegali.

QUESTA EVIDENTE ambiguità, sostenuta da un sentimento nazionale ferito dall’attacco criminale di Hamas, poggia la sua credibilità solo sulla ostentata misura dei danni che è capace di infliggere al nemico. Vale a dire sulla distruzione di Gaza «male assoluto», nemmeno Hamas, e sull’assedio dei palestinesi da «rimuovere», ma dove… visto che Egitto e Giordania rifiutano ogni accoglienza ed è sicuro che non torneranno, le loro case non esistono più. Un orrore.

L’Assemblea dell’Onu, su una mozione preparata dalla moderata Giordania finora interlocutore del “Patto d’Abramo” invita, a maggioranza, almeno ad una tregua continuata. Usa e Israele votano contro «isolate», l’Europa si divide e l’ambasciatore di Tel Aviv resta infuriato. Il baratro della punizione collettiva continua. È un crimine di guerra. Ma fino alla «vittoria».

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