Israele, se la vera speranza di pace è fra gli ultraortodossi
Medio Oriente La sinistra laica demonizza i religiosi. Ma è proprio da loro che vengono le parole più «rivoluzionarie»
Medio Oriente La sinistra laica demonizza i religiosi. Ma è proprio da loro che vengono le parole più «rivoluzionarie»
Tutti i limiti della sinistra sionista sono contenuti nella copertina dell’inserto del quotidiano Haaretz dello scorso fine settimana, dove, sopra il ritratto di un gruppo di studenti ultraortodossi, ci si chiede cosa realmente si studi nelle accademie rabbiniche. La risposta provocatoria e disgustosa attende all’interno il lettore laico solleticato nella curiosità: «I rapporti sessuali con la prima infanzia non sono da considerarsi reato». Un titolo morboso e infelice che, prendendo di mira le discussioni talmudiche più marginali e anacronistiche – soprattutto se estrapolate dal loro contesto – semina ulteriore odio e divisioni in una società, quella israeliana, già esasperata dalle faide interne. La demonizzazione dei religiosi è peggiorata dopo l’ultima salita al potere di Netanyahu nel gennaio 2023. L’alleanza del primo ministro con i partiti ultraortodossi, la scelleratezza dei sionisti religiosi estremisti capeggiati dai ministri Ben Gvir e Smotrich, la folle violenza dei coloni, la promozione della riforma giudiziaria e l’ostinato rifiuto degli ultraortodossi di assolvere la leva obbligatoria, infatti, non hanno fatto che esasperare l’astio da parte della società laica che, a causa della separazione del sistema scolastico, l’ebraismo non lo conosce e fa di tutta l’erba un fascio.
EPPURE LE VOCI più interessanti che si sono levate dopo il drammatico ritrovamento – domenica 1 settembre – di altri sei ostaggi israeliani trucidati da Hamas, provengono proprio dal mondo osservante. La prima è quella di Adina Bar-Shalom, figlia del grande Rabbino Ovadia Yosef, attivista per la pace, sostenitrice del dialogo interreligioso e del movimento Sinistra di Fede. Promotrice dei diritti delle donne allo studio e alla carriera, nel 2000 ha fondato la Miclalà Charedìt di Gerusalemme, primo importante istituto superiore a conferire lauree a uomini e donne ultraortodossi in diverse discipline, e per il suo impegno nell’istruzione nel 2014 ha ricevuto il prestigioso Premio Israele.
DAL 7 OTTOBRE Bar-Shalom promuove instancabilmente la preziosa eredità del padre che, attraverso di lei, risuona più come un inno di pace che antepone a tutto il valore sacro della vita. Per quanto la versione di rav Ovadia Yosef, generosamente condivisa dalla sua coraggiosa primogenita con il suo popolo affinché resti unito, sia forse a tratti edulcorata, i messaggi politici contro il fanatismo ebraico religioso delle passeggiate sul Monte del Tempio arrivano con un tempismo perfetto, divenendo un’arma preziosa nella battaglia contro il tempo per il riscatto degli ostaggi. Così domenica sera, ospite al Canale 12, Adina Bar-Shalom ha regalato alla nazione una lezione impeccabile di integrità morale e leadership femminile, nella quale ha rivolto un appello ad Aryeh Deri, discusso leader del partito ultraortodosso Shas, a Moshe Gafni, leader del partito ashkenazita lituano Degel Hatorà e ad altri, esortandoli con fermezza a far pressione in ogni modo su Netanyahu anche a costo delle proprie dimissioni.
«SE MIO PADRE fosse vivo avremmo visto un accordo ancora prima dell’inizio della guerra. Al governo ci sono persone osservanti che tuttavia sembrano aver dimenticato i precetti ebraici e l’eredità di mio padre» ha detto sfoderando abilmente come frecce per il suo arco una sfilza di citazioni delle Scritture sull’importanza di salvare vite umane e sul precetto del riscatto dei prigionieri.
La seconda voce che ha riportato luce e speranza è quella di Elhanan Danino, padre di Ori Danino, uno dei 6 ostaggi ritrovati. Con l’autorità e la serenità di chi non ha più niente da perdere il rabbino Danino, anche lui come Bar-Shalom appartenente alla società ultraortodossa sefardita-orientale, ha messo a tappeto il Primo ministro recatosi con la moglie Sara a porgergli le condoglianze. Dopo averlo accusato di aver costruito lui il tunnel dove hanno ritrovato il figlio assassinato – alludendo al protratto finanziamento di Hamas da parte dei governi Netanyahu – lo ha ammonito: «Smettete di occuparvi di stupidaggini, di aizzare faide e litigi, o contare seggi. Senza l’unità del popolo d’Israele non ci sarà nessuna rinascita. Il disastro è avvenuto a causa delle divisioni. È chiaro come il sole. Fermati per 10 minuti, chiuditi in una stanza e pensa a quale valore ebraico porti avanti. Svegliatevi …».
MENTRE IL MONDO assiste sempre più allibito alla distruzione che si compie a Gaza e in Cisgiordania, a undici mesi da quel disgraziato 7 ottobre, l’etica israeliana è ancora appesa al sottile filo che tiene in vita le ultime decine di ostaggi in nome dei quali lo scorso sabato sera, oltre mezzo milione di cittadini di tutte le fedi e affiliazioni politiche ha invaso le strade per pretendere dal governo un accordo «ad ogni costo», come aveva sentenziato il Rabbino Ovadia Yosef in occasione del riscatto di Gilad Shalit che ha richiesto la liberazione di ben 1.000 palestinesi tra cui lo stesso Sinwar. Chissà che non si stiano aprendo nuovi scenari che non vedono più contrapposte solo destra e sinistra, un’ideologia contro un’altra, bensì il bene e il male, la vita e la morte. E non è detto che non saranno proprio le persone di fede, quelle oneste come Bar-Shalom e Danino, a traghettare lo stato ebraico fuori dalla disperazione riportando sull’agenda umanità, tolleranza, pace e rispetto reciproco. Non a caso anche le proteste stanno cambiando indirizzo: lunedì sera hanno bussato alla porta di Deri a Gerusalemme e mercoledì a quella di Gafni a Bnei Brak.
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