Israele non rivendica e si prepara all’attacco al Libano
Medio oriente Netanyahu ha chiesto il silenzio assoluto al suo governo. Intanto l'esercito sposta le sue forze al nord
Medio oriente Netanyahu ha chiesto il silenzio assoluto al suo governo. Intanto l'esercito sposta le sue forze al nord
Il premier israeliano Benyamin Netanyahu con ogni probabilità otterrà il pretesto che cerca per lanciare l’ampia offensiva militare in Libano che minaccia da mesi e in particolare in questi ultimi giorni. Hezbollah ieri ha attribuito a Israele la responsabilità del cyberattack che ieri intorno alle 15.30 di Beirut ha fatto esplodere quasi nello stesso momento migliaia di dispositivi cercapersone e walkie-talkie in tutto il Libano, persino in Siria, uccidendo nove persone e ferendone quasi tremila.
L’attacco elettronico, senza precedenti, ha preso di mira il sistema di comunicazione indipendente del movimento sciita libanese ferendo potenzialmente combattenti, militanti e dipendenti del movimento sciita. Quest’ultimo sotto l’urto del pesante colpo subito, ha avvertito che Israele pagherà a caro prezzo quanto ha pianificato e realizzato. Ora non pochi danno per imminente, nelle prossime ore, la rappresaglia di Hezbollah e, quindi, l’inizio dell’offensiva dell’aviazione militare e poi via terra anche dell’esercito israeliano. Altri non escludevano un cosiddetto «attacco preventivo» israeliano contro le postazioni di Hezbollah e l’intero Libano. Israele inoltre sosteneva ieri di aver sventato un attentato di Hezbollah in preparazione contro un suo importante ex alto funzionario della sicurezza. Si sussurra che proprio l’imminenza di una guerra, che avrebbe conseguenze gravi anche per Israele – il movimento sciita ha capacità militari superiori a quelle di Hamas a Gaza -, ha spinto Netanyahu a non licenziare il ministro della Difesa e suo rivale, Yoav Gallant.
A differenza dell’assassinio compiuto a fine luglio di Fuad Shukr, il capo militare di Hezbollah, stavolta Israele non ha rivendicato l’azione. L’ufficio di Benyamin Netanyahu inoltre ha preso le distanze da un collaboratore del primo ministro che, sui social, aveva lasciato intendere che dietro i cercapersone esplosi c’è Israele. Tuttavia, non ci sono dubbi sui responsabili del cyberattack. Solo pochi servizi segreti nel mondo hanno tale capacità di penetrare nei sistemi di sicurezza di avversari ben organizzati come il movimento sciita libanese, e tra questi c’è il Mossad israeliano. Samuel Ramani, ricercatore al Royal United Services Institute, rispondendo alle domande di Al Jazeera, ha descritto l’accaduto come un «passo verso l’escalation…Gli israeliani probabilmente credono che questa sia una occasione storica di decapitare le capacità di Hezbollah mentre la guerra a Gaza volge al termine». Netanyahu e Gallant sono rimasti riuniti per ore nel bunker del ministero della Difesa a Tel Aviv dove hanno poi convocato i più alti responsabili della sicurezza per un incontro d’emergenza con il governo.
In attesa della guerra totale, in Libano del sud sono continuati i bombardamenti aerei israeliani – a Majdal Selm sono state uccise tre persone -, mentre Hezbollah ha lanciato attacchi verso l’Alta Galilea. Si allunga la striscia di sangue a Gaza segnata ieri da almeno 26 palestinesi uccisi e da un pesante raid aereo, scattato nella notte tra lunedì e martedì, contro un gruppo di palazzi e abitazioni nel campo profughi di Al Bureji. La Protezione civile ha lavorato per ore nel tentativo di salvare la vita di molti abitanti rimasti sotto le macerie. I cadaveri recuperati fino a ieri sera erano otto, tra cui alcuni minori, ma i soccorritori affermavano che le esplosioni hanno ucciso o ferito una ottantina di persone. Le famiglie più colpite sono le Abu Shawqa, Batran e Tarturi. Tra i morti c’è anche il giornalista Muhammad Abu Shawqa. Altre vittime si sono avute in attacchi aerei e cannoneggiamenti a Daraj e Zaytun, due sobborghi di Gaza city. Il cessate il fuoco è sempre lontano anche se Majed al Ansari, portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, paese che media tra Israele e Hamas assieme ad Egitto e Usa, ieri ha detto che «I canali di comunicazione restano aperti…Gli obiettivi, le visite e gli incontri sono in corso». La realtà però è davanti agli occhi di tutti.
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