«Israele non è solo ebraico». Alla Corte suprema 15 ricorsi
Dibattito sulla legge dello Stato-nazione che di fatto discrimina i cittadini appartenenti alle minoranze. Difficilmente sarà abrogata come chiedono palestinesi e drusi. Forse i giudici chiederanno di rivedere un paio di articoli
Dibattito sulla legge dello Stato-nazione che di fatto discrimina i cittadini appartenenti alle minoranze. Difficilmente sarà abrogata come chiedono palestinesi e drusi. Forse i giudici chiederanno di rivedere un paio di articoli
Oscurato dalla crisi di governo e dalla prospettiva di un terzo lockdown nazionale, è ripreso il dibattito sulla legge fondamentale approvata dalla Knesset nel luglio 2018 che definisce Israele-Stato della nazione ebraica (e non di tutti i suoi cittadini) e non menziona l’uguaglianza di tutti i cittadini affermata nel 1948 alla fondazione dello Stato di Israele. Ieri gli 11 giudici della Corte suprema hanno preso in esame le 15 petizioni presentate contro la legge, alcune chiedono di eliminarla nella sua interezza, altre di modificarla. A contestarla con forza sono la minoranza araba palestinese e i drusi.
Voluta dal premier Netanyahu e sostenuta da tutta la destra maggioritaria alla Knesset, la legge ha aggiunto altri interrogativi riguardo la definizione di Israele quale «Stato ebraico e democratico». Malgrado ciò non è mai stata messa in discussione dal centrosinistra israeliano che di fatto la giustifica affermando che andrebbe migliorata in alcuni articoli. Per i rappresentanti delle minoranze non ebraiche al contrario la legge va abolita, totalmente, per garantire in modo inequivocabile l’uguaglianza di tutti i cittadini e l’avvio di un percorso che porti Israele ad essere uno Stato non più sionista in cui possano identificarsi pienamente non solo gli ebrei.
I legali delle associazioni e ong per i diritti umani e civili negli interventi hanno sottolineato, citando esempi, i danni che la legge ha provocato a cittadini palestinesi davanti alle corti ordinarie. L’avvocato Ali Shqeib ha riferito della decisione di un giudice distrettuale nel nord di Israele di respingere un ricorso contro la decisione del comune di Carmiel, in gran parte ebraico, di non garantire il trasporto fuori città anche agli studenti delle scuole di lingua araba. Il giudice ha citato la legge Stato-nazione all’articolo 7 che sancisce il valore predominante «dell’insediamento ebraico» e l’interesse nazionale al suo sviluppo e progresso. Altri avvocati hanno rimarcato le contraddizioni tra la Stato-nazione e altre leggi fondamentali dell’ordinamento israeliano come quella sulla dignità umana e la libertà. «Se l’Alta Corte non esaminerà la legge Stato-nazione secondo le norme internazionali esterne al sistema (giuridico) israeliano e i criteri derivati da valori universali, giustificherà l’esistenza di un regime di segregazione per mandato costituzionale a favore di un gruppo etnico dominante che cerca di attribuirsi la supremazia esclusiva», ha avvertito in un articolo l’avvocata Sawsan Zaher, del centro Adalah per l’assistenza legale alla minoranza araba.
Pochi confidano che la Corte suprema israeliana possa accogliere le petizioni e chiedere l’abolizione della legge contestata dalle minoranze non-ebraiche. Ieri gli 11 giudici, già indicando il loro orientamento, hanno più volte richiamato la discussione su quella che considerano la questione fondamentale: esiste una giustificazione giuridica valida per annullare interamente una legge fondamentale, cosa mai accaduta in precedenza? Potrebbero però sottolineare la criticità di un paio di articoli e questa possibilità ha fatto scattare l’allarme rosso nella destra. «Questa legge fondamentale salvaguarda Israele come Stato-nazione del popolo ebraico», ha tuonato il deputato ed ex capo dell’intelligence Avi Dichter (Likud). Lo speaker della Knesset Yariv Levin ha attaccato con rabbia la stessa Corte suprema ammonendola dal prendere decisioni contro il voto del parlamento. Contro la competenza dei massimi giudici si è espresso il procuratore generale Avichai Mandelblit.
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