Domenica Gila Gamliel ha cominciato il suo commento sul Jerusalem Post con una citazione. A suo dire Albert Einstein avrebbe pronunciato queste parole: «Nel mezzo di ogni crisi si trovano grandi opportunità». Parole che per la ministra dell’intelligence rappresentano oggi una esortazione per Israele a comprendere che, dopo l’attacco di Hamas lo scorso 7 ottobre, occorre mettere fine al conflitto con Gaza (e non solo) con ogni possibilità disponibile. Gamliel, a capo del ministero autore di un progetto per l’espulsione di due milioni di palestinesi verso l’Egitto, è tornata alla carica sottolineando che terminata la guerra «Avremo ancora due milioni di persone a Gaza, molte delle quali hanno votato per Hamas e hanno celebrato il massacro di uomini, donne e bambini innocenti». Cosa fare di questi palestinesi, domanda la ministra respingendo l’idea della ricostruzione di Gaza. Si proceda, propone, al «reinsediamento volontario» dei palestinesi in altri paesi. «Invece di destinare denaro alla ricostruzione di Gaza o alla fallita Unrwa, la comunità internazionale può sostenere i costi del reinsediamento, aiutando la popolazione di Gaza a costruirsi una nuova vita nei nuovi paesi ospitanti». Per Gamliel, esponente di spicco del partito Likud del premier Netanyahu, essere sostenitori dei palestinesi significa mandarli via dalla loro terra. Passano i decenni ma certi propositi non muoiono. Meglio un’altra Nakba – di cui ha parlato apertamente di recente anche un altro ministro, Avi Dichter – che raggiungere un accordo politico con i palestinesi, ora che si è creata questa «opportunità». «Come si suol dire, la perfezione è nemica del bene. Questo non è affatto un piano perfetto, ma è buono. È fattibile e porta sicurezza, prosperità e, si spera, pace per tutti», conclude la ministra rimarcando che esponenti della maggioranza e anche dell’opposizione condividono le sue idee.

Il «reinsediamento» dei palestinesi all’estero teorizzato dalla ministra in ogni caso non sarà certo «volontario». Quando i reparti corazzati «alla caccia dei tunnel di Hamas» cominceranno ad avanzare verso la fascia orientale di Gaza, su Khouza, Bani Suheila, i quartieri orientali di Khan Yunis – colpita in queste ultime 48 ore da raid aerei che avrebbero fatto decine di morti e feriti – e vari centri abitati in quella zona, altre centinaia di migliaia di civili palestinesi si metteranno in fuga. Israele preme sulle agenzie delle Nazioni unite, affinché sfollati e residenti nel sud di Gaza vadano ai Mawasi, un’area agricola di ridotte dimensioni sulla costa non lontana confine con l’Egitto. Che quei pochi chilometri quadrati di terra possano contenere un milione e 700mila sfollati (sono i dati aggiornati dell’Onu) è semplicemente impossibile. La «seconda Nakba», si presume, avverrà quando folle di persone, sotto l’incalzare dei carri armati israeliani giunti anche nel sud, si ammasseranno sulla frontiera con l’Egitto fino ad abbatterla.

Israele intanto fa avanzare le sue truppe nel resto del nord della Striscia, a Tuffah e nel campo profughi di Jabaliya (100mila abitanti), con la copertura di decine di raid aerei, e a Zaitun ad est di Gaza city dove, dice il portavoce militare, starebbero eliminando sacche di resistenza di Hamas. Che poi queste sacche tanto piccole non devono essere se l’ex capo dell’intelligence di Israele, Hayman Tamir, le quantifica su X in 150mila combattenti e «agenti» di Hamas. L’esercito israeliano sta subendo un numero crescente di perdite nonostante l’evidente superiorità militare. Sono oltre 60 i soldati israeliani uccisi dal 28 ottobre. Secondo alcune fonti, sarebbero morti in prevalenza in mezzi blindati e carri armati non impenetrabili, come si riteneva, ai razzi anticarro di Hamas. Israele afferma di aver preso prigionieri centinaia di palestinesi, in maggioranza, dice, militanti e simpatizzanti del movimento islamista che avrebbero fornito informazioni capillari su forze e strutture militari di Hamas.

Chissà se viene considerato un «terrorista» anche il poeta Mosab Abu Toha, collaboratore del New Yorker, che i soldati hanno arrestato a Gaza. Il direttore della nota rivista statunitense, Michael Luo, ha annunciato ieri che il giornale ha perso i contatti Abu Toha, tra le altre cose fondatore dell’unica biblioteca in lingua inglese di Gaza. Il manifesto lo intervistò qualche anno fa a Beit Lahiya dove aveva aperto in un appartamento uno spazio di lettura accessibile per tutti a Gaza, con scaffali colmi di capolavori della letteratura e della saggistica mondiale e tanti altri libri donati anche da italiani e da attivisti della sinistra israeliana, con i quali Abu Toha aveva contatti.

Non lontano da quella libreria, almeno 12 palestinesi sono stati uccisi e decine feriti nella notte tra domenica e lunedì da spari contro l’ospedale Indonesiano dove si trovano 700 tra pazienti, staff medico e sfollati. L’agenzia di stampa Wafa ha detto che la struttura sanitaria, edificata con fondi dell’Indonesia, è stata raggiunta da colpi sparati dall’artiglieria o dai carri armati israeliani presenti nella zona. Il personale ospedaliero ha negato la presenza di militanti armati nei locali. Israele non ha confermato un suo coinvolgimento nell’attacco. Come tutte le altre strutture sanitarie nella metà settentrionale di Gaza, l’ospedale Indonesiano ha in gran parte cessato le attività. Ieri fonti giornalistiche palestinesi hanno riferito di altri morti e feriti in vari raid aerei nel nord.

Intanto cibo, carburante, medicine e acqua potabile stanno finendo in tutta Gaza. Nel sud almeno 14 palestinesi sarebbero stati uccisi da due attacchi aerei israeliani contro case a Rafah. Ieri è stato portato in Egitto un gruppo di 28 neonati prematuri evacuati dall’ospedale Shifa di Gaza city, considerato da Israele una copertura per una base di Hamas. Altri neonati sono morti dopo che le loro incubatrici erano state spente per mancanza di elettricità. Domenica l’esercito israeliano ha diffuso video registrati dalle telecamere di sorveglianza che mostrano due manovali nepalesi presi in ostaggio durante l’attacco di Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre portati all’interno dello Shifa. La tv israeliana Kan ha nuovamente dato per imminente, sulla base anche di dichiarazioni di Joe Biden, l’accordo per uno scambio tra ostaggi e prigioniere e minori palestinesi in carcere in Israele. In un’udienza alla Knesset, le famiglie degli ostaggi hanno chiesto al parlamento e al governo di fermare l’approvazione della legge che prevede la pena di morte per i «terroristi».