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Israele espelle dal nord di Gaza decine di migliaia di palestinesi

La fuga da Jabaliya in una foto dell’esercito israeliano su XLa fuga da Jabaliya in una foto dell’esercito israeliano su X

Davanti agli occhi Rifugi distrutti, inizia la fuga verso sud. Sulla tv israeliana i video degli uomini rapiti. Si ferma la seconda campagna vaccinale anti-polio. Onu: Tel Aviv ci vieta di raggiungere gli ospedali

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 24 ottobre 2024

Dieci anni fa, era il febbraio 2014, l’Unrwa pubblicò una foto scattata nel campo profughi palestinese Yarmouk, a Damasco. All’epoca era sotto un doppio assedio, il regime siriano da fuori, miliziani jihadisti da dentro. Dei 180mila residenti ne erano rimasti 18mila, ridotti letteralmente alla fame.

QUELLA FOTO ne catturò migliaia, i volti scavati, donne uomini e bambini pelle e ossa, in marcia verso gli aiuti umanitari. Quell’immagine è tornata, ieri, pubblicata dal giornalista palestinese Hassan Eslieh: non è una foto, ma il video di una massa umana di donne, uomini e ragazzini che si affolla davanti a un forno ancora operativo nel sud di Gaza. È la porzione di Striscia dove si è concentrata la maggior parte della popolazione in questo anno di offensiva militare israeliana.

In teoria è quella più «sicura»: l’assedio totale che da inizio ottobre soffoca il nord ha talmente annientato le condizioni di vita dei 400mila palestinesi nelle comunità settentrionali che il sud è uscito dai radar. Sicura non è: gli aiuti che non entrano colpiscono tutti e quella massa che preme per il pane spiega i numeri sulla malnutrizione e la denutrizione che da mesi l’Organizzazione mondiale della Sanità fornisce, inascoltata.

Il nord, intanto, è sigillato. «Le famiglie sono circondate da soldati israeliani, carri armati, colpi di artiglieria, quadricotteri e raid – scrive la giornalista Hind Khoudary – La Croce rossa e la Mezzaluna rossa ricevono chiamate dai civili che chiedono protezione per poter scappare. Chiedono anche cibo e acqua dopo tre settimane senza aiuti in ingresso».

GLI UCCISI, in 19 giorni, sarebbero 770, ma il timore è che si tratti di un bilancio al ribasso: la protezione civile non riesce a raggiungere molte delle zone colpite, tante vittime sono ancora sotto le macerie. Sui soccorritori a Jabaliya, il campo profughi epicentro dell’operazione, l’esercito israeliano ha aperto il fuoco, denuncia la protezione civile.

La stessa organizzazione parla di oltre 200 civili rapiti, tra cui delle donne. Da giorni girano sui social immagini di prigionieri palestinesi, uomini in fila, a decine, dopo essere stati separati dalle famiglie e video della tv pubblica israeliana che mostra uomini bendati a bordo delle jeep.

Chi può fugge: lo stesso esercito israeliano ha rilasciato immagini scattate a Jabaliya, con decine di migliaia di sfollati in fuga verso sud dopo la distruzione dei rifugi. Le forze armate parlano di 20mila persone che stanno lasciando Jabaliya «nonostante gli sforzi di Hamas di impedirglielo».

Per i palestinesi e le organizzazioni internazionali, la lettura di quelle immagini è diversa: l’assedio e i pesantissimi raid, la fame e l’assenza di aiuti sono la messa in pratica – confermata da ufficiali militari e mai negata dal primo ministro Netanyahu, nemmeno di fronte alla domanda diretta del segretario di stato Usa Blinken – del cosiddetto Piano dei Generali, volto allo svuotamento del nord di Gaza dalla sua popolazione.

Secondo il giornalista Tareq Abu Azzoum, ieri mattina «l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione di tre centri che ospitavano migliaia di famiglie a Beit Lahiya…Gli uomini dovrebbero essere portati in luoghi dove saranno interrogati, le donne saranno autorizzate ad andare a Gaza City». Di fatto, è in atto un’opera di pulizia etnica del nord, nessuno sa se e quando potrà tornare.

Le Nazioni unite da parte loro insistono per poter raggiungere gli ospedali settentrionali ma di nuovo ieri, denuncia l’agenzia Ocha, «la nostra richiesta di portare cibo, carburante, sangue e medicinali è stata negata dalle autorità israeliane». I tentativi falliti riguardano in particolare il Kamal Adwan Hospital, dove ieri i medici denunciavano la presenza di oltre trenta morti che non sanno dove seppellire.

«Qui c’è la morte in tutte le sue forme – ha detto ad al Jazeera il chirurgo di Medici senza Frontiere Mohammed Obeid – I bombardamenti non si fermano, l’artiglieria non si ferma…Ci sono feriti ovunque, dentro e fuori l’ospedale, e non abbiamo medicinali e strumenti chirurgici per curarli. Le ambulanze non possono muoversi e raggiungere i corpi degli uccisi o salvare i feriti abbandonati in strada». La situazione è tale, dice l’Oms, da mettere a serio rischio la seconda e ultima fase della vaccinazione anti-polio, sospesa a nord.

CON I RAID DI IERI, da nord a sud, il bilancio dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre 2023 è salito a 42.800, oltre 52mila tenendo conto dei dispersi. Non si sa se anche di questo Blinken abbia discusso con il premier israeliano Netanyahu martedì, nella sua visita a Tel Aviv: secondo i resoconti ufficiali, ci si è concentrati sulla risposta all’Iran (che ieri il ministro della difesa Gallant descriveva come monito: «Dopo, capiranno sia in Israele che fuori che tipo di preparazione abbiamo»).

Blinken ha conservato l’argomento cessate il fuoco per Mohammed bin Salman: è dall’Arabia saudita che ha detto a Israele di utilizzare l’opportunità creata dall’uccisione del leader di Hamas, Yahya Sinwar, per giungere a una soluzione del conflitto.

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