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Israele attacca Gaza. Morti e feriti. I palestinesi rispondono con i razzi

Israele attacca Gaza. Morti e feriti. I palestinesi rispondono con i razzi

Israele/Territori occupati Almeno dieci morti, tra i quali una bambina di 5 anni e un comandante militare del Jihad islami. 55 i palestinesi feriti. Cento razzi lanciati verso le città israeliana. Si rischia una nuova guerra totale

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 6 agosto 2022

Un attacco aereo improvviso e micidiale. Avvenuto mentre proseguiva la mediazione egiziana volta a frenare il Jihad islami deciso a rispondere all’arresto a Jenin, avvenuto a inizio settimana, di Bassam al Saadi, il suo comandante militare in Cisgiordania. Cominciato nel pomeriggio con l’«omicidio mirato» in un appartamento della Palestine Tower di Gaza city di Taysir Al Jaabari, capo a Gaza del comando settentrionale della Saraya al Quds, il braccio armato del Jihad. Un raid che è costato la vita anche a una bimba di cinque anni, Alaa Qadum, e a una giovane di 23 anni, ha riferito il ministero della sanità palestinese. Poi sono scattati altri attacchi contro torrette di osservazione e altri obiettivi che hanno ucciso dieci palestinesi. I feriti fino a ieri sera erano 55. Una donna ha raccontato di essere stata sorpresa in spiaggia dall’attacco e come lei i tanti palestinesi che in queste settimane trovare nel mare l’unico svago estivo e rimedio possibile al gran caldo di Gaza.

La risposta del Jihad e delle altre formazioni armate a Gaza non è scattata dopo l’attacco. Alle 21 locali, le 20 in Italia, sono stati sparati razzi a decine e decine – 100 secondo alcune fonti – in direzione del sud dello Stato ebraico e verso il centro del paese e lungo la costa: Rishon Lezion, Yavne, Bat Yam, Tel Aviv, Ashdod, Ashkelon, Sderot. Le sirene di allarme sono scattate in tanti centri abitati, grandi e piccoli. Migliaia di civili sono scesi di corsa nei rifugi. L’aviazione israeliana ha subito ripreso a martellare Gaza. Ore prima i capi delle varie fazioni armate palestinesi, incluso il movimento Hamas che controlla Gaza, si erano riuniti nella «operation room» per decidere quando e dove colpire in Israele. A lanciare i razzi sono state anche le Brigate Ezzedin al Qassam di Hamas che ha voluto smentire chi sosteneva che non avrebbe preso parte al «regolamento di conti» tra Israele e Jihad, ripetendo la decisione di non intervenire presa qualche anno fa in una circostanza analoga. «I raid aerei hanno colto di sorpresa il Jihad che attendeva per domenica, dai mediatori egiziani, la risposta israeliana alle sue richieste», ci riferiva ieri un giornalista di Gaza. «La reazione palestinese – ha aggiunto – è certa. Ormai è una questione che non riguarda più solo il Jihad». E se davvero sarà guerra totale, tutti se la aspettano lunga, sanguinosa, devastante soprattutto per Gaza. Eloquente un tweet dell’ong israeliana Gisha, schierata contro l’occupazione, che da anni lavora per facilitare i movimenti palestinesi da e per Gaza: «Israele ha lanciato un altro attacco a Gaza dove due milioni di persone, metà delle quali bambini, ancora vacillano per la devastazione dei precedenti assalti e per la soffocante chiusura che dura da 15 anni. I civili a Gaza sono intrappolati, esausti e impauriti. STOP». A pagare per questa possibile nuova guerra saranno proprio quei due milioni di civili che hanno già subito quattro grandi offensive militari nel 2008, 2012, 2014, 2021. Più altre «minori».

Questa qui ha già un nome: «Breaking Dawn». Israele sostiene di aver scelto l’attacco, che descrive come un’«azione preventiva», dopo aver appreso che il Jihad si preparava a colpire obiettivi lungo le linee di demarcazione in territorio israeliano usando un razzo anticarro o colpi sparati da un cecchino verso autoveicoli o una postazione militare. Per questo – una situazione non insolita e che il più delle volte in passato si è conclusa con azioni militari contenute – i comandi di Israele di fatto hanno scelto la guerra e mobilitato 25mila riservisti.

In termini politici è inevitabile non collegare questo «attacco preventivo» alla campagna elettorale israeliana. E alla necessità del premier ad interim, il «centrista» Yair Lapid, privo di un passato militare significativo, di presentarsi come una valida alternativa a «Mr. Sicurezza» Benjamin Netanyahu, ex premier, leader del partito Likud (destra) e principale avversario alle elezioni del 1 novembre. Non sarebbe la prima volta. Nel 1996 il primo ministro Shimon Peres, successore dell’assassinato Yitzhak Rabin, scelse in campagna elettorale il conflitto con Hezbollah in Libano per rimpolpare il suo curriculum vitae senza particolari meriti militari. Non gli servì a molto. Perse le elezioni e Netanyahu divenne premier per la prima volta. La stessa sorte potrebbe subirla Lapid che ieri ha dichiarato che l’operazione militare a Gaza andrà avanti per tutto il tempo necessario.

 

 

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