«Sono entrato in Italia nel 2010. Mi ha aiutato un amico e connazionale che era già nel vostro paese, viveva a L’Aquila ed aveva una piccola azienda agricola. Ha presentato richiesta per me nell’ambito del decreto Flussi, ma non mi ha assunto. Quattro giorni dopo il mio ingresso in Italia mi sono spostato a Napoli. Ho lavorato per qualche tempo come ambulante e poi in una piccola fabbrica di tessuti in provincia. Paga da fame, turni di lavoro infiniti. Sono stato regolarizzato alcuni anni più tardi grazie ad una sanatoria ed ora sono impiegato presso uno studio legale». R.(«ho paura a dare il mio nome») racconta da Chittagong, la città del Bangladesh dove viveva prima di emigrare e dove è rientrato da alcune settimane, la sua vicenda.

«Ho 45 anni», va avanti, «ed ho studiato Legge. Il 4 dicembre dell’anno scorso ho presentato domanda di ricongiungimento familiare, affinché mia moglie ed il mio primo figlio di 5 anni potessero raggiungermi a Caserta, dove avevo già preso in affitto un’abitazione abbastanza grande da accogliere tutta la famiglia». In Bangladesh, però, i visti che dovrebbe rilasciare l’ambasciata italiana sono bloccati da agosto 2023. Sia quelli relativi all’ingresso per i ricongiungimenti familiari, sia quelli che fanno riferimento alle richieste di assunzione. «Almeno 70.000 domande sono ferme – dice R. – ed il vostro ambasciatore, intervistato da alcuni giornalisti del mio paese, ha risposto che non ha il personale per verificare i documenti. Non so se sia questo il vero motivo o se ci sia la volontà di bloccare gli ingressi in Italia in ogni modo. Certo è che la legge italiana stabilisce che l’ambasciatore debba rilasciare il visto o rifiutarlo entro 90 giorni, quando la domanda è presentata nell’ambito del decreto Flussi. Per il ricongiungimento familiare la risposta dovrebbe arrivare entro un mese».

NELL’ATTESA È DIVENTATO a maggio padre per la seconda volta. La bimba è nata prematura, il parto è stato accidentato e lui si è precipitato a Chittagong. «Dovrò presentare una nuova domanda di ricongiungimento – si rammarica – perché adesso c’è un’altra persona nella mia famiglia». Non nega che ci sia chi, pur di entrare in Italia, abbia pagato intermediatori bengalesi o referenti italiani per simulare una richiesta di contratto. «Può costare – dice – tra 10.000 e 15.000 euro». Sottolinea, però: «I lavoratori sono le vittime di un sistema, quello del decreto Flussi, che non sta in piedi e che fa guadagnare chi vuol lucrare sulla necessità di emigrare dei miei connazionali». A Dacca, la capitale del Bangladesh, migliaia di persone hanno manifestato nelle scorse settimane davanti all’ambasciata italiana ed alla sede dell’agenzia indiana che fa da tramite per la consegna dei passaporti. C’è chi è in sciopero della fame nella capitale, come a Chittagong ed a Silet, altre due grandi città.

IN ITALIA L’ASSOCIAZIONE antirazzista interetnica 3 febbraio ha promosso un’assemblea il 16 giugno a Sant’Antimo, uno de Comuni campani dove è maggiore la concentrazione dei bengalesi, i quali nella cittadina lavorano tutti nel tessile. «Dalla Campania – dice Gianluca Petruzzo, referente di 3 febbraio – vogliamo costringere il governo a recedere da questi attacchi alla vita umana».