Cultura

Investigazioni intorno ai fatti del mondo

Investigazioni intorno ai fatti del mondo

Scaffale «The Complete Works», venticinque anni di produzione in scatti, video performance e arte pubblica di Francesco Jodice (a cura di Marco Scotini, per silvana editoriale)

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 31 luglio 2022
Francesco Jodice, The Complete works

Le porte di un ascensore si aprono e si chiudono su sei ambienti diversi. Non si tratta dei piani di un edificio, ma di sei prospettive sul futuro. Sei possibilità di esistere. Francesco Jodice inizia così Hikikomori (2004), una delle sue opere più apprezzate e fra le prime testimonianze del fenomeno sociale (sorto in Giappone) ormai noto a tutti. Questo filmato, che dura poco meno di mezz’ora, è emblematico dei 25 anni di carriera raccolti in The Complete Works (a cura di Marco Scotini, Silvana Editoriale, pp.474, euro 55), il volume più importante pubblicato finora sul lavoro dell’artista.

Sfogliare la quasi 500 pagine che lo compongono significa imbattersi non soltanto nelle fotografie, ma anche nei video, nelle performance e negli interventi d’arte pubblica. Il tutto è retto da due qualità che Hikikomori esprime al massimo grado: da un lato, la capacità di captare e restituire con anticipo dei fenomeni locali che in seguito si riveleranno di interesse globale; dall’altro, riuscire a dimostrare quanto il vuoto possa essere più affascinante del pieno.
Non a caso Scotini, nel testo che apre il volume, associa il metodo di ricerca di Jodice a quello dell’investigatore. Fiutare, seguire le tracce, prevedere i movimenti, i rapporti di causa ed effetto.

DA QUESTA SPECIALE FORMA di intuito e di decodificazione della realtà nascono progetti molto diversi: per esempio le foto-animazioni di The Secret Traces (in corso dal 1997), dove l’artista segue e fotografa persone comuni mentre si recano da un luogo all’altro. Un pedinamento fine a se stesso. Un’indagine improduttiva. Vero a metà. Perché di fatto, ripetuto in diverse città del pianeta, il progetto rivela moltissimo delle abitudini e dei comportamenti degli esseri umani. Delle paure e dei desideri che determinano paesaggi personali e collettivi.

Ma non solo. L’aspetto più rilevante di quest’opera sta nell’aver evidenziato – già alla fine degli anni 90 – che la sicurezza, il controllo dell’identità e il furto dei dati e tutto ciò che ne consegue, sarebbero stati lo snodo delle economie e delle politiche dei decenni successivi. Da questo punto di vista il posizionamento di Jodice è inequivocabile.

Non denuncia ma presenta i fatti attraverso linguaggi artistici diversi, che reagiscono al mutare dei tempi. Nel libro ogni immagine è associata a un brano scritto dall’artista stesso o da autori e autrici che hanno collaborato con lui o ne hanno ispirato la ricerca, arrivando addirittura a coniare una sorta di conversazione performativa con Francesco Zanot che mette in luce il rapporto con il pubblico, la tendenza all’accumulazione, il bisogno di tracciare delle mappe o di mescolare le discipline.

EPPURE, per quanto l’aderenza al proprio tempo sia essenziale, The Complete Works non segue un ordine cronologico. La regia è affidata ad altri tipi di affinità. Per esempio i vuoti di comunicazione degli hikikomori risuonano nei vuoti architettonici del Brasile o della Thailandia: tanto i giovani giapponesi cercano una via di fuga da un vuoto che la comunità non riesce a colmare, tanto gli edifici delle grandi metropoli di What We Want (in corso dal 1996) e di Citytellers (2006-10) finiscono per evidenziare i negativi, gli interstizi lasciati dall’addossarsi di un blocco all’altro. Di infiniti futuri ancora da stanare.

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