«Su tre cose non transigo: concorrenza, delega fiscale e politica estera. Se vogliono cambiare linea si trovino un altro», aveva assicurato perentorio Mario Draghi ai centristi nell’incontro di lunedì a palazzo Chigi. La prima voce sembra vicina allo sblocco. Il ddl Concorrenza dovrebbe essere licenziato dalla commissione domani per approdare poi nell’aula del Senato lunedì 30 ed essere approvato nella stessa giornata. L’interrogativo in sospeso sino all’ultimo, ieri mattina, era se la Lega avrebbe accettato di votare subito il resto del Concorrenza, relegando in coda l’articolo della discordia, il 2, quello sulle concessioni balneari, oppure se avrebbe preteso l’accordo sulle concessioni come condizione per votare il resto. Nel vertice governo-maggioranza di ieri mattina i leghisti hanno accettato di mettere al sicuro subito il grosso del ddl, segno evidente che l’intesa anche sulle concessioni era comunque vicina. «Ci siamo quasi», giubilava infatti dopo il vertice il ministro dei Rapporti con il Parlamento D’Incà. Ieri sera Salvini confermava: «Bisogna lavorarci ma sono fiducioso».

BASE DELLA POSSIBILE mediazione è la riformulazione fatta arrivare ieri mattina dal governo e messa a punto dal viceministro allo Sviluppo economico Pichetto Fratin, forzista. È articolata in due punti: la possibilità di prorogare la messa a gara sino al 2024 in caso di problemi o contenziosi e indennizzi ai concessionari uscenti per la perdita dell’avviamento e dei beni oggetto di investimento. Sul primo punto c’è l’accordo di tutta la maggioranza anche se i 5S mirano a restringere la casistica che consente la proroga. Il secondo punto è molto più delicato, perché Lega e Fi chiedono che il valore aziendale venga valutato non al netto degli ammortamenti, ma anche perché sulla definizione degli indennizzi pesa il parere della Ue la cui valutazione è ben più ristretta di quella di Lega e Fi. La partita dovrebbe chiudersi oggi, in un nuovo vertice di maggioranza, ma a questo punto le probabilità che non si riesca a trovare la quadra sono esigue. Comunque, anche se il governo dovesse procedere con la fiducia, con i voti della commissione sul resto del ddl è sventata la minaccia di dover approvare il testo base, senza le modifiche sulle quali la maggioranza aveva già trovato l’intesa.

LO SCOGLIO concorrenza è dunque quasi superato. Sulla delega fiscale, in concreto sulla riforma del catasto, regge per ora la mediazione trovata dopo un lunghissimo braccio di ferro. La politica estera, cioè la guerra, è invece ancora a massimo rischio. I 5 Stelle ieri hanno insistito per avere Draghi in aula prima del Consiglio europeo del 30 maggio e proprio per questo hanno votato contro il calendario dei lavori del Senato. Ma il premier non intende correre il rischio di un voto ed è dunque deciso a disertare l’aula. Palazzo Chigi fa sapere in compenso che il premier sarà in Parlamento prima della successiva riunione del Consiglio, senza specificare se si tratterà di un informativa senza voto o di vere e proprie comunicazioni. Il gioco a rimpiattino che il premier ha ingaggiato con la sua maggioranza, per non far emergere le differenze profondissime che si sono create in particolare sulle armi fornite all’Ucraina, prima o poi dovrà finire ed è probabile che in qualche modo a giugno si arrivi a un pronunciamento.

C’È UN ULTERIORE trappola, che non rientra nell’elenco degli argomenti sui quali Draghi si dichiara inflessibile: il decreto Aiuti. Comprende anche la norma che permetterà al sindaco di Roma Gualtieri di costruire il nuovo termovalorizzatore e su quel tema i 5S sono a loro volta intransigenti. Se si arrivasse a un voto separato della maggioranza sarebbe un incidente molto grave, fatale se venisse posta la questione di fiducia. In ballo, in questo caso, non c’è solo la tenuta della maggioranza ma anche le sempre più esigue possibilità, per Pd e 5S, di arrivare coalizzati alle elezioni politiche.