Editoriale

Interminabile Trump, solo contro 21 democratici

Interminabile Trump, solo contro 21 democraticiDonald Trump durante il comizio di Orlando, il 18 giugno – Afp

Usa 2020 Via alla corsa per le Presidenziali del prossimo anno. Scenari da incubo: sarà rieletto? Sul fronte opposto, la difficile ricerca del candidato più dotato di "electability"

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 20 giugno 2019

Uno contro 21. Trump contro 21 democratici che aspirano a prenderne il posto nel novembre 2020. Un rapporto di forze che sembra dare la carica al presidente-candidato, più tronfio che mai nel giorno in cui dà inizio alla campagna per la sua rielezione con un comizio interminabile a Orlando.

A essere precisi, non si tratta di un inizio, dal momento che non ha mai smesso i panni del candidato permanente dopo l’incredibile vittoria del 2016. Allora lo scontro per la presidenza non vedeva in campo un presidente uscente e uno sfidante espresso dal partito rivale. Il Partito democratico aveva un candidato favorito, ma non tanto da avere la meglio, se non con manovre opache e truffaldine, su quello che in altri tempi sarebbe stato un contendente facile da battere, Bernie Sanders.

Nel campo repubblicano, intanto, volavano gli stracci, un gruppo di candidati incolori che si picchiavano tra loro senza pietà, e quello strano outsider che picchiava più degli altri e sembrava più un disturbatore nella corsa delle primarie che un contendente destinato al successo. Il Partito democratico scelse la candidatura sbagliata, quello repubblicano quella vincente. Un esito che, in una certa misura, fu dovuto appunto all’assenza di un incumbent e alla parallela sfida nei due campi.

Questo doppio scenario, questa volta, non si ripete. C’è, da una parte, un incumbent, un presidente uscente che si ricandida, senza rivali nel suo campo, e sul fronte opposto c’è una pletora di candidati che sicuramente si sfoltirà ma che intanto dà l’impressione di un partito rissoso e senza una direzione. Destinato, com’è anche logico che avvenga nelle primarie, a dar vita a scontri tra i contendenti, lasciando in ombra il vero nemico da battere.

La domanda che tutti si fanno è: se è così, allora Trump sarà rieletto? E con sé trascinerà il Partito repubblicano alla conferma del dominio al senato e perfino alla riconquista della camera dei rappresentanti?

Uno scenario da incubo, messo plasticamente in evidenza dal comizio di Orlando, dove Trump ha sciorinato tutto il repertorio xenofobo-razzista-maschilista che ha caratterizzato le sue performance fin dalla sua apparizione sulla scena. Condendo il tutto con fantasiose promesse e bugie infantili: la Cnn ha contato 15 false affermazioni nei 76 minuti del discorso.

Altri quattro anni con un narcisista psicopatico alla Casa bianca? A questa domanda sono in tanti che rispondono con una speranza: che l’impeachment prenda corpo e che le varie inchieste della magistratura statale ancora in corso lo mettano alle corde.

Una strada che non si sa dove possa portare ma che intanto acuisce le divisioni nel partito, tra chi pensa che così si fa solo un regalo a Trump e chi sostiene che la verità dei suoi misfatti, anche se il processo non arriverà al termine, lo danneggerà mortalmente.

L’altra speranza è che al più presto emerga il candidato più dotato di electability. Nei sondaggi Joe Biden è largamente in testa, seguito da Bernie Sanders e da Elizabeth Warren che sta scalando pian piano la classifica.

Biden è considerato il candidato più adatto a contrastare Trump perché, per certi versi, ne ha alcune caratteristiche, alcune delle quali, in altri tempi, non sarebbero state considerate proprio virtuose. Noto gaffeur, ha buone capacità comunicative, specie con i lavoratori dell’industria, finiti nell’orbita di Trump.

Ma dietro questo profilo, c’è la politica. Biden incarna il moderatismo centrista della vecchia tradizione democratica. La teoria che sostiene questa posizione è che, nel 2020, la partita si vincerà al centro e che la radicalizzazione imposta da Trump è solo una parentesi nella vita democratica del Paese.

A sinistra, l’ascesa di Warren fa pensare che stia prendendo quota non solo l’idea di contrastare un rappresentante del maschilismo più retrivo e odioso con una donna progressista. Nei contenuti, Warren è da tempo su posizioni simili a quelle di Sanders e non distanti da quelle radicali di Alexandria Ocasio Cortez.

Dove e come cercare i voti per vincere, definendo un profilo netto, è un rompicapo con un avversario come Trump, in continuo movimento e ormai capace di unire all’istrionismo del comiziante senza spartito, un’astuzia politica nel farsi strada anche nell’elettorato moderato repubblicano e in quello oscillante e indeciso.

Resta il rebus dei sondaggi, tutti sfavorevoli a Trump, perfino nel super repubblicano Texas. Per adesso si può dire piazze piene, sondaggi vuoti per Trump. Se sono rilevazioni credibili, è bene che si dia retta a chi propone di cavalcare l’onda favorevole concentrando tutte le energie per definire una piattaforma vincente e accantonando l’ossessione della via giudiziaria per cacciarlo dalla Casa bianca.

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