Sul tema delle intercettazioni il governo tenta di rassicurare i magistrati antimafia, dopo che il procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia ha spiegato come l’ascolto delle telefonate sia stato «uno dei pilastri dell’inchiesta» che ha portato alla cattura di Matteo Messina Denaro. Il ministro di Giustizia Carlo Nordio, che solo poche settimane fa aveva asserito che «i mafiosi non parlano al telefono», come ha ricordato la capogruppo del M5S al Senato Barbara Floridia, ieri ha tentato una difesa della riforma spiegando ai microfoni di Radio 24: «Sono anni che ripeto che le intercettazioni sono assolutamente indispensabili nella lotta alla mafia e al terrorismo e per comprendere i movimenti di persone sospettati di reati gravissimi. Quello che va cambiato è l’abuso che se ne fa per reati minori, con la diffusione sulla stampa di segreti individuali che non hanno a che fare con le indagini. Credo che ci sia malafede quando si confondono i due campi».

Subito dopo gli ha fatto eco il sottosegretario Andrea Delmastro che, partecipando al flash mob organizzato da Fd’I davanti al Comando dei carabinieri del centro di Roma per «festeggiare lo Stato trionfante contro la mafia schiacciata», ha rassicurato sull’intenzione del governo Meloni di non toccare né le intercettazioni né il 41 bis, strumenti, a suo dire, «essenziale per contrastare la criminalità». Nel governo, assicura il viceministro Francesco Paolo Sisto, «non c’è un partito “intercettazioni sì” e uno “intercettazioni no”. La questione sul tavolo è il loro utilizzo per reati minori e il livello di spesa importante che ciò comporta».

«Cosa intendono per reati minori? – partono all’attacco i capogruppo di Camera e Senato del M5S – Pensano forse che, ad esempio, la corruzione sia un reato minore slegato dalle condotte mafiose?». Mentre l’ex Guardasigilli Andrea Orlando (Pd), su Rainews 24, avverte: «Non mi rassicura il fatto che si dica semplicemente che le intercettazioni non saranno precluse per la lotta alla mafia e per i reati direttamente collegati alla mafia. Perché spesso ci sono reati che non sono direttamente manifestazione dell’organizzazione mafiosa, che sono però reati cosiddetti “spia”, che indicano una presenza dell’attività criminale e attraverso l’individuazione di quei reati apparentemente minori si può risalire poi alla presenza mafiosa».

Il cuore del problema, però, sta nella pubblicazione delle intercettazioni, che spesso violano la privacy di persone neppure indagate. Su questo tema si è infatti espresso l’Ordine dei giornalisti che ieri è stato ascoltato in commissione Giustizia del Senato per l’indagine conoscitiva che si sta svolgendo sul tema: «Le Intercettazioni oggi sono atti pubblici già filtrati da elementi non essenziali, serve più autoregolamentazione per i giornalisti, non si può stabilire tutto per legge», ha affermato il presidente dell’Odg Carlo Bartoli che. ricordando le sentenze della Corte europea dei diritti umani e i moniti del Garante della privacy, ha chiesto al Parlamento di «non restringere ulteriormente l’accesso alle informazioni necessarie all’opinione pubblica, impedendo di far conoscere eventi e comportamenti di interesse pubblico».