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Insieme per ripudiare la guerra

Insieme per ripudiare la guerraLa attivista palestinese Tarteel Al Junaidi a sinistra, a destra gli israeliani Sofia Orr e Daniel Mizrahi – LaPresse

La cacciata In Italia con il Movimento nonviolento e Rete pace e disarmo attiviste e attivisti palestinesi obiettori di coscienza

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 25 ottobre 2024

Grazie all’associazione Movimento nonviolento, nel quadro della campagna Obiezione alla guerra, che ha l’obiettivo di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiati per tutti gli obiettori di coscienza nel mondo, sono stati invitati in Italia per un tour – partito da Milano e che finirà sabato a Bari – due attivisti e obiettori di coscienza israeliani dell’associazione Mesarvot: Sofia Orr e Daniel Mizrahi, e due attiviste palestinesi, Aisha Amer e Tarteel Al Junaidi, dell’organizzazione internazionale Community Peacemakers Teams. Dopo l’arrivo a Milano mercoledì 16 ottobre i quattro giovani attiviste e attivisti (la più piccola è Orr di 19 anni e la più grande Al Junaidi di 29) sono stati protagonisti di molti incontri con la società civile, con particolare riguardo ai giovani, portando la loro testimonianza di resistenza e collaborazione nelle scuole e nelle università.

IERI, A ROMA, sono stati ascoltati la mattina dalla Commissione permanente per i Diritti umani e nel pomeriggio hanno parlato a una conferenza stampa a Montecitorio, alla presenza dei deputati dell’intergruppo parlamentare per la pace in Palestina e Israele Laura Boldrini, Stefania Ascari e Francesco Mari, insieme ad Alfio Nicotra della rete Pace e disarmo.
Le loro storie hanno colpito i presenti nella sala stampa della Camera. Come quella di Sofia Orr, che dopo essersi rifiutata di fare il servizio militare, obbligatorio in Israele, è stata messa in una prigione militare per 85 giorni. La decisione di diventare un’obiettrice di coscienza è arrivata dopo che la giovane si è domandata cosa, con il suo corpo, avrebbe avallato e aiutato prestandolo al servizio militare. Ma la sua decisione è stata volutamente pubblica e alla luce del sole perché, come ha detto: «Volevo resistere attivamente, cercando di raggiungere i media sia nazionali che internazionali e cercando di portare la voce e la sofferenza del popolo palestinese nella società israeliana».

Una resistenza che si lega a quella che viene fatta dall’altra parte del muro di più di 700 chilometri che divide Israele dalla Cisgiordania occupata. La resistenza raccontata da Tarteel Al Junaidi, che vive a Hebron nel sud della Cisgiordania. Una città che, dice l’attivista «se la vedi, capisci veramente cosa vuol dire occupazione». Check point a ogni angolo, attacchi e minacce da parte di militari e coloni, che vivono in colonie dentro la città vecchia, edifici israeliani cinti da reti e filo spinato in mezzo a case palestinesi. Ma la realtà che vive Al Junaidi, dice lei stessa «è quella che vivono tutti i palestinesi in tutti i territori occupati». E «le nostre voci non vengono ascoltate. Per questo penso che ogni palestinese nasce attivista:perché vuole raccontare come vive, vuole testimoniare la negazione dei diritti che subiamo».

UN PUNTO su cui tutti gli attivisti si sono più volte spesi è quello per cui senza l’eliminazione della radice della violenza è inutile parlare di pace: «Penso che la violenza che vediamo ora sia il prodotto di un sistema di disuguaglianza. Nel momento in cui israeliani e palestinesi avranno gli stessi diritti la violenza non avrà più scopo di esistere» ha dichiarato al manifesto Daniel Mizrahi. Che interrogato sulle possibili collaborazioni e azioni congiunte tra palestinesi e israeliani contro l’occupazione ha detto che «Israele ha creato una separazione sistematica. Vogliono separare le persone così da non dare la possibilità di creare connessioni rendendo difficilissimo, ancora di più dopo il 7 ottobre, lavorare insieme per la pace e la giustizia». Un punto su cui anche Al Junaidi si trova d’accordo quando dice che «i palestinesi non conoscono gli israeliani se non come soldati o coloni».

MA DOMANDANDO in che modo si può raggiungere l’uguaglianza tra palestinesi e israeliani, la risposta che ha dato Mizrahi, come tutti gli altri attivisti, è: «La pressione internazionale sul governo di Israele. Ma una pressione vera, e il perseguimento del diritto internazionale che renda realmente punibili i responsabili dei crimini di guerra e contro l’umanità che stiamo vedendo».

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