Prima un caldo torrido, fuori stagione, ora le piogge. Gaza è passata in poche ore da un’estate prolungata, che ha inasprito le condizioni di vita di una popolazione senza elettricità e con scarsissima acqua, a un autunno violento che da ieri si è abbattuto con i temporali sui rifugi fatti di tende e tra le macerie e nei centri e le scuole delle Nazioni unite.

«L’INVERNO è un incubo – ha raccontato ad al Jazeera Fayeza Srour, sfollata a Khan Yunis – Prima pregavo perché arrivasse la pioggia. Oggi prego perché smetta. Quando la pioggia cade, noi affondiamo». Le strade in alcune zone si sono allagate rovinando tende, coperte e materassi poggiati a terra. Il sistema fognario di drenaggio non funziona più per la mancanza di carburante e ogni giorno si accumulano 400 tonnellate di rifiuti, «un rischio serio alla salute pubblica, per l’aumento di acqua contaminata e l’esplosione di malattie», ha detto ieri l’Onu.

Un esempio lo fa l’Organizzazione mondiale della sanità: 30mila casi di diarrea contro i 2mila che in media si registravano a Gaza nello stesso periodo. E poi varicella, scabbia, infezioni polmonari.

Ma la situazione peggiore rimane quella degli ospedali, da settimane campo di battaglia militare e politica. Sui propri account social l’esercito israeliano pubblica video di presunti tunnel di Hamas sotto l’ospedale Rantisi, accusando indirettamente l’Oms di sapere e tacere. I video sono stati oggetto di un’operazione di debunking da parte anche di giornalisti israeliani, che accusano la Difesa di una montatura per giustificare il fuoco aperto sugli ospedali.

In ogni caso, tunnel o meno, la presenza di civili, medici e pazienti impedirebbe comunque di prendere di mira un ospedale, secondo quanto dettato dal diritto internazionale. È su questa base – la mole sempre più impressionante di violazioni – che stanno avanzando le iniziative di diversi attori internazionali.

A PARTIRE dal rifiuto dell’assunto israeliano per cui gli ospedali possano essere considerati target legittimi nel caso di presenza di miliziani. Ieri Human Rights Watch ha chiesto alla Corte penale internazionale di indagare Israele per crimini di guerra sulla base dei «ripetuti e apparentemente illegittimi attacchi a strutture mediche, personale e ambulanze»: «Nessuna prova può giustificare la perdita per ospedali e ambulanze del loro status protetto», ha scritto Hrw.

Ospedali che da luoghi di cura sono oggi trasformati in un inferno. Quelli di Gaza City in particolare, lo Shifa, il Rantisi. Non si entra e non si esce, il cibo sta finendo, l’acqua pure. I neonati prematuri sono stati messi tutti insieme in «incubatrici» di fortuna, esposti a freddo e batteri. Stanno già morendo, insieme ad altri pazienti in terapia intensiva: già 40, dice lo Shifa.

Fuori, nei cortili presi di mira dai cecchini, si accumulano i corpi. Morti che nessuno riesce a recuperare e che ieri, riportavano le agenzie statunitensi, sono stati mangiati dai cani randagi. Cadaveri ci sono anche dentro gli ospedali, feriti che non sono sopravvissuti a causa di cure inadeguate, della mancanza di disinfettanti e anestetici, della carenza di elettricità.

Ieri allo Shifa, riportavano alla Reuters il dottor Ahmed Mokhallalati e il portavoce del ministero della salute Ashraf al-Qudra, oltre cento cadaveri sono stati seppelliti in una fosse comune, senza coperture o protezioni (richieste dalla Croce rossa per evitare la diffusione di malattie), perché iniziavano a decomporsi.

LA FOSSA l’hanno scavata subito fuori dall’ospedale per paura del fuoco dei cecchini. Ci hanno impiegato ore. Si continua a morire anche altrove. Almeno tredici gli uccisi in un bombardamento israeliano a Khan Yunis, il sud della Striscia, dove Israele sta spingendo centinaia di migliaia di palestinesi del nord. Secondo l’agenzia Wafa, sono state colpite le case delle famiglie Al-Agha e Abu Gemayzeh.

Difficile ormai dare bilanci attendibili delle vittime, aveva avvertito nei giorni scorsi il ministero della salute. Hanno sicuramente superato gli 11.300, oltre il 70% donne e bambini.
«In nome dell’umanità, il segretario generale chiede un cessate fuoco umanitario immediato», il grido che ieri Antonio Guterres ha affidato al suo portavoce, Stephane Dujarric. L’ultima di una lunga serie di appelli inascoltati, arrivati dallo scranno più alto del Palazzo di Vetro, vittima da settimane degli attacchi israeliani.

Ieri a Tel Aviv li ha affidati al ministro degli esteri Eli Cohen che ha parlato dalla sede dell’Onu di Ginevra: «Guterres non merita di essere il capo delle Nazioni unite. Non ha promosso alcun processo di pace nella regione. Dovrebbe dire forte e chiaro: “Gaza libera da Hamas”».

E mentre la Difesa israeliana annunciava che la 162esima divisione aveva preso il controllo del campo profughi di Shati, casa a oltre 90mila persone, il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich, esponente dell’ultradestra nazionalista, ha rilanciato le parole che domenica il ministro dell’Agricoltura Avi Dichter (ex capo dello Shin Bet e membro del Likud) aveva «affidato» a Canale 12: a Gaza Israele «sta portando avanti una Nakba, una Nakba 2023», perché «non c’è modo di condurre una guerra con masse di persone tra i tank e i soldati».

IL RIFERIMENTO esplicito è all’espulsione dell’80% della popolazione palestinese (quasi un milione di persone) nel 1948, fatto storico che Israele non ha mai ammesso di aver commesso, insistendo sulla fuga volontaria dei palestinesi 75 anni fa.

Ieri a ribadire l’obiettivo di svuotamento della Striscia è stato Smotrich che su Facebook ha scritto di aver dato il proprio sostegno alla proposta mossa alla Knesset dai due deputati Ben Barak e Danny Danon di «migrazione volontaria» dei palestinesi.

I due, Barak e Danon, ne avevano ampiamente parlato in un articolo inviato al Wall Street Journal, dove «affidavano» alla comunità internazionale il compito di accogliere i rifugiati gazawi. Per Smotrich la cacciata di 2,2 milioni di palestinesi dalla Striscia è «l’unica soluzione» perché Gaza «è diventata il simbolo dell’ambizione a sterminare lo Stato di Israele».