Prima le accuse, poi la riapertura del dialogo. C’è movimento tra Ucraina e Cina, a una settimana dalla conferenza sulla pace in Svizzera a cui Pechino ha già detto che non parteciperà. Un rifiuto che ha scatenato le ire di Volodymyr Zelensky, che domenica scorsa a Singapore ha abbandonato la tradizionale cautela sulla Cina, tacciata di voler «boicottare» la conferenza e di «allungare la guerra» col suo «sostegno alla Russia». Un netto cambio di tono che lascia(va) presagire una sorta di “liberi tutti” per i paesi europei nel giudicare la postura cinese sulla guerra.
Eppure, senza annunci, mercoledì è giunta a Pechino una delegazione di alti funzionari ucraini guidata dal vice ministro degli Esteri Andriy Sybiha, che ha incontrato l’omologo Sun Weidong. Segnale che la sfuriata di Zelensky ha prodotto una riapertura del dialogo. O, quantomeno, un tentativo reciproco di contenere i danni. Per la Cina, è fondamentale continuare a mostrare di essere disposta al dialogo anche con l’Ucraina, reiterando così la pretesa di neutralità e imparzialità. Kiev ritiene evidentemente cruciale il ruolo cinese, al di là della mancata presenza in Svizzera.

ASSAI DIFFICILE pensare che la visita possa generare un ribaltone sul tema. «Abbiamo espresso la speranza sulla partecipazione della Cina per contribuire concretamente a una pace giusta», ha dichiarato il ministero degli Esteri di Kiev. Il ministero degli Esteri di Pechino non ha fatto riferimento alla conferenza, limitandosi a segnalare che le due parti hanno «scambiato opinioni sulla crisi». E aggiungendo che Kiev avrebbe espresso il desiderio di rafforzare «la cooperazione in tutti i campi».
Più esplicita la portavoce Mao Ning, che ieri in conferenza stampa ha ribadito che la Cina «continuerà a promuovere colloqui di pace a suo modo». Il che significa sostanzialmente tre cose: riconoscimento sia di Kiev sia di Mosca, partecipazione eguale tra le parti e presentazione dei rispettivi piani di pace. Un’equiparazione che non piace a Zelensky, che a Singapore ha rivendicato il diritto di avviare il processo di pace a modo suo. “«l mondo ha bisogno di voci più obiettive ed equilibrate», ha risposto indirettamente il ministro Wang Yi, ricevendo martedì a Pechino l’omologo turco. Controrisposta di Kiev: «Dopo diversi summit tra i leader della Cina e dell’aggressore russo la partecipazione in Svizzera darebbe un segnale significativo di una posizione bilanciata».

MA, NELLA RETORICA cinese, l’appuntamento svizzero rischia di tramutarsi in una «conferenza per continuare la guerra», come ha detto Cui Tiankai, ex ambasciatore a Washington. I media statali parlano di un tentativo di «rapimento morale» da parte dei paesi occidentali, nel tentativo di «infangare la reputazione» della Cina per la sua assenza, presentata come logica conseguenza del mancato invito a Mosca.
Qualche critica, anche sui social, a Zelensky per la visita a Manila. Qui, dopo l’irruzione allo Shangri-La Dialogue, ha incontrato Ferdinand Marcos. In questo momento, il presidente filippino è il rivale regionale numero uno della Cina. «Favorendo una contrapposizione tra blocchi, sarà più difficile per Zelensky ottenere aiuto», si legge.

PECHINO lavora invece a una possibile seconda conferenza, di sponda col Brasile. C’è chi è convinto che Xi Jinping possa venire allo scoperto a cavallo del G20 di novembre, quando sarà a Rio de Janeiro. Ma per scoprirsi, il leader cinese dovrà prima ottenere segnali positivi da Kiev. La visita della delegazione ucraina non dà garanzie in tal senso, ma lascia comunque credere che Zelensky non voglia chiudere del tutto la porta.