È passato un po’ di tempo ma la faccia di Matteo Salvini a tutto schermo mentre al citofono di un privato cittadino domanda retoricamente “Lei spaccia?” resta un ricordo vivido nella memoria collettiva. Forse uno dei momenti più patetici della carriera politica del leader leghista, ma sicuramente uno dei frame più virali nella storia dei social media.

Episodi come questo, atti di inciviltà nella sfera politica, non sono un fenomeno nuovo né tantomeno localizzato.

La politica dell’inciviltà, un saggio di Sara Bentivegna e Rossella Rega pubblicato da Laterza nella collana Anticorpi, spiega come l’uso di insulti, urla, aggressioni verbali e demonizzazione del nemico sia espressione di una strategia comunicativa studiata nel dettaglio.

I nostri Salvini e Meloni (ma non solo loro) hanno una lunga lista di predecessori illustri. Da Nikita Chruščëv con la sua scarpa sbattuta sul tavolo delle Nazioni Unite fino ad arrivare all’uomo che ha fatto dell’inciviltà politica una vera e propria scuola di pensiero: Donald Trump.

L’inciviltà, intesa come un insieme di comportamenti e discorsi che violano le consuetudini e le norme della sfera pubblica, è diventata negli ultimi anni sempre di più una risorsa strategica per la ricerca del consenso.

Ma quali sarebbero i vantaggi dell’essere incivili?

Primo fra tutti la riconoscibilità (personal brand). La figura di Donald Trump da questo punto di vista è emblematica. Il suo passato da personaggio televisivo legato ai reality show (format basati sul sensazionalismo emotivo) ha contribuito a distinguerlo in modo netto da tutti gli altri politici. Per il fatto di essere diverso dai suoi rivali, Trump è riuscito a essere mediaticamente onnipresente e a trasformare in consenso quel sentimento anti-establishment che serpeggiava nella società americana.

L’inciviltà politica infatti, spiegano Bentivegna e Rega, c’è sempre stata, ma solo nel presente trova le condizioni per diventare pervasiva.

L’uso delle cosiddette bad manners (maniere forti) è ancora più efficace in un contesto di crescente sfiducia verso le élites, quando il linguaggio colloquiale e i modi assertivi sono utili a presentarsi come “vicini al popolo”.

Donald Trump al comizio del 6 gennaio prima dell’assalto della folla al Campidoglio, foto Ap

Le autrici del saggio riportano come la sociologia politica contemporanea sia concorde nel rilevare che oggi la polarizzazione ideologica è molto debole, mentre si è rafforzata enormemente la contrapposizione identitaria. Si vota, spesso, per chi incarna al meglio le caratteristiche del nostro gruppo sociale di riferimento.

Giorgia Meloni che urla e scandisce la sua biografia minima durante un comizio è diventata un successo social e rappresenta un ottimo esempio di uso strategico di una nuova comunicazione politica basata sull’inciviltà.

Nelle sue parole non compaiono proposte politiche o soluzioni ai problemi dei cittadini, si tratta invece di un puro manifesto identitario (io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, etc). Ma le identità sono divisive per definizione, e in quanto divisive generano reazioni opposte: una valanga di commenti e condivisioni che garantiscono la copertura mediatica del fatto.

E si arriva a un altro interessante assunto del saggio: i nuova media, internet e i social network, non sono gli unici responsabili del propagarsi dell’inciviltà politica, infatti un ruolo importante è svolto dai media tradizionali.

Nella sanguinosa competizione per l’attenzione sempre più scarsa dei fruitori, radio, tv e giornali tendono a dare maggiore copertura agli episodi sensazionalistici. Basti pensare ai format di molti talk show politici che si basano proprio sullo scontro diretto e feroce tra gli ospiti.

Extinction Rebellion a Londra, foto Ansa

Le autrici non mancano però di ricordare che se oggi l’inciviltà è diventata una risorsa per le élites politiche non va dimenticata la sua funzione nel conflitto sociale.

Dai blocchi stradali delle suffragette fino alla disobbedienza civile di gruppi ambientalisti come Extinction Rebellion, oltrepassare i confini della legalità e del quieto vivere è sempre stato un modo per richiamare l’attenzione su oppressioni e ingiustizie che trovano poco spazio nelle maglie della rappresentanza.

Si può essere incivili anche per necessità, potremmo dire, e non solo per scelta.